Negli ultimi anni, si è assistito ad un riscaldamento degli oceani senza precedenti che ha raggiunto, nel 2021, un nuovo record. A stabilirlo, è lo studio pubblicato sulla rivista Advances in Atmospheric Sciences ed intitolato “Another Record: Ocean Warming Continues through 2021 despite La Niña Conditions”.
L’articolo evidenzia come l’innalzamento della temperatura degli oceani sia una diretta conseguenza del riscaldamento globale di origine antropica. Infatti, la concentrazione sempre più rilevante delle emissioni di gas serra, impedendo al calore irradiato dalla terra di disperdersi nello spazio, ha causato uno squilibrio energetico (EEI), che si è, a sua volta, tradotto in un aumento dell’ocean heat content (OHC) ovvero del contenuto di calore dell’oceano. In particolare, si è constatato come circa il 90% dell’energia solare in eccesso sia stato sottratto, nel corso degli ultimi 50 anni, dagli oceani procurandone, pertanto, un surriscaldamento. Secondo quanto riportato dallo studio, il 2021 è stato caratterizzato da un incremento dell’OHC (ha riguardato, in particolare, i primi 2000 metri superficiali di tutti i mari del mondo) tale da far registrare temperature oceaniche tra le più alte degli ultimi 5 anni. Inoltre, ciò si è verificato nonostante fosse in atto l’evento meteorologico definito “La Niña”, responsabile del raffreddamento delle acque del Pacifico tropicale centrale e orientale, delineando pertanto uno scenario, alquanto, allarmante.
A destare preoccupazione sono l’Atlantico e gli oceani meridionali considerati più sensibili ad un riscaldamento a lungo termine, mentre il Mar Mediterraneo si conferma come il bacino che si scalda più velocemente. Al fine, però, di comprendere la gravità della situazione, risulta importante valutarne gli effetti.
In primo luogo, un oceano più caldo implica un’espansione termica, ovvero una dilatazione delle acque che si traduce poi in un innalzamento del livello del mare. A ciò si aggiungono, l’intensificarsi degli eventi estremi (ad esempio i cicloni tropicali) dovuti all’accumulo di energia, lo scioglimento dei ghiacciai e l’indebolimento della capacità dei mari nell’assorbire l’anidride carbonica (CO2) con conseguente inasprimento dei cambiamenti climatici. Infine, anche, la biodiversità marina risulta essere profondamente danneggiata a causa sia di un’alterazione del habitat che di una deossigenazione delle acque.
Sulla base di queste considerazioni, appare evidente la necessità di un intervento volto a contrastare l’attuale declino degli oceani. Un contributo, in questo scenario, proviene dall’Agenda 2030 attraverso i Sustainable Development Goals (SDGs). Più precisamente, il goal 14 inerente alla “Vita sott’acqua” mira alla conservazione degli oceani, dei mari e delle risorse marine al fine di promuoverne uno sviluppo sostenibile.
Un ulteriore passo in avanti è stato compiuto dalle Nazioni Unite che, con la risoluzione 72/73 del 2017, hanno proclamato il “Decennio delle Scienze del Mare per lo Sviluppo sostenibile 2021-2030”. Quest’ultimo, nato dall’impegno delle Nazioni Unite e della Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’UNESCO, si pone l’obiettivo di trovare delle soluzioni concrete ed efficaci con le quali poter favorire uno sviluppo sostenibile degli oceani. In quest’ambito, la scienza riveste un ruolo essenziale in quanto in grado di apportare nuove nozioni sull’ecosistema marino e quindi di migliorarne la tutela.
Per questa ragione, il Decennio del Mare si propone di supportare la ricerca scientifica ma, anche, di favorire l’accesso alle nuove conoscenze così da poter sensibilizzare la società nel dare un contributo alla creazione di un futuro migliore per gli oceani.
Di fatto, i risultati scientifici, come quelli relativi al riscaldamento dei mari, hanno catturato l’attenzione da parte dei paesi a tal punto da spingere le Nazioni unite ad organizzare una Conferenza sull’oceano che si terrà a Lisbona dal 27 giugno al 1 luglio del 2022.
Sofia Pavlidi