End of waste e riciclo dei PAP: l’esempio virtuoso di FaterSMART

Il modello economico lineare risulta particolarmente dannoso per l’ambiente in quanto segue uno schema “produci, usa e getta”, creando scarti e rifiuti in ogni fase del processo produttivo.

Questo modello non è più sostenibile perché sta esaurendo le risorse naturali.

Gli evidenti limiti di questo approccio suggeriscono di intraprendere un percorso che conduca a un’economia circolare. Infatti, lo scopo dell’economia circolare è proprio quello di eliminare ogni forma di scarto o rifiuto attraverso la continua rigenerazione dei materiali.

Tale modello si fonda sullo schema delle tre R:

  • Ridurre ciò che non serve e crea rifiuti;
  • Riutilizzare i prodotti, evitando quelli monouso;
  • Riciclare per dare nuova vita a ciò che ha esaurito la sua funzione originaria, attraverso la trasformazione in materia prima secondaria pronta per una nuova produzione, evitando così di usufruire di nuove risorse naturali.

In questo senso nasce l’accezione di “End Of Waste”, in italiano “Cessazione della qualifica di rifiuto”. Essa avviene a seguito di un processo di recupero di un rifiuto che, se soddisfa determinate condizioni, non è più considerato come tale, diventando a tutti gli effetti un prodotto che potrà essere nuovamente inserito nella catena produttiva.

Questo settore è disciplinato a livello europeo dalla Direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008. La Direttiva pone l’obbligo, per i Paesi membri dell’UE, di elaborare strategie per la gestione dei rifiuti al fine di evitare impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana, evidenziando la rilevanza dell’impiego di tecniche adeguate volte a recuperare materiali utili dai rifiuti.

L’art. 4 della Direttiva classifica cinque livelli di gerarchia nella gestione dei rifiuti:

  1. prevenzione;
  2. preparazione per il riutilizzo;
  3. riciclaggio;
  4. recupero di altro tipo (es. il recupero di energia);
  5. smaltimento.

Gli Stati membri sono dunque chiamati ad adottare misure volte a incoraggiare le alternative che danno il miglior esito ambientale complessivo.

La Direttiva stabilisce che un rifiuto cessa di essere tale una volta che è stato sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfa le condizioni stabilite dall’art. 6 della stessa:

  1. la sostanza o l’oggetto è comunemente utilizzata/o per scopi specifici;
  2. esiste un mercato o una domanda per tale sostanza o oggetto;
  3. la sostanza o l’oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
  4. l’utilizzo della sostanza o dell’oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Infine, secondo l’art. 8 della stessa Direttiva, i Paesi membri possono adottare misure volte ad assicurare che qualsiasi persona fisica o giuridica che professionalmente sviluppi, fabbrichi, trasformi, tratti, venda o importi prodotti sia soggetta alla responsabilità estesa del produttore e, pertanto, sia responsabile della gestione del prodotto una volta diventato rifiuto.

Pertanto, in accordo con il principio “chi inquina paga”, i costi della gestione dei rifiuti sono sostenuti dal produttore iniziale, dai detentori del momento o dai detentori precedenti dei rifiuti.

La direttiva 2008/98/CE è stata recepita in Italia con Decreto legislativo 3 dicembre 2010 n. 205 con cui si è modificato l’art. 185-ter del “Testo Unico Ambientale” (Decreto Legislativo 152/2006), che riguarda le esclusioni dall’ambito di applicazione.

L’art. 184-ter della Parte Quarta del Testo Unico ambientale disciplina la cessazione della qualifica di rifiuto (End of Waste). A livello generale, si dispone che quando non è possibile evitare la produzione di rifiuti, subentra la possibilità di re-impiegarli attraverso operazioni di recupero che ne predispongono il riutilizzo.

In particolare, il comma 1 dell’articolo riporta immutate le condizioni stabilite dall’art. 6 della Direttiva 2008/98/CE.

Il comma 2 prevede, coerentemente con quanto riportato nella Direttiva europea, che l’operazione di recupero possa consistere semplicemente nel controllare i rifiuti al fine di verificare se questi ultimi soddisfano i criteri elaborati conformemente alle anzidette condizioni. Ciò significa che, affinché un rifiuto possa essere recuperato, è sufficiente che questo sia stato qualificato come rifiuto e che, dunque, ne siano state verificate le caratteristiche. Tale operazione di recupero deve essere autorizzata secondo le procedure previste dalla Parte Quarta del citato Decreto Legislativo 152/2006.

Infine, il comma 3-ter istituisce un sistema di controlli delle autorizzazioni rilasciate “caso per caso” adottati, riesaminati o rinnovati, attribuendone la competenza al Sistema Nazionale per la protezione dell’ambiente.

Si ricordi che questo ultimo comma è stato modificato con la L. 128 del 2/11/19 di conversione del D.L. 101 del 3/09/2019 all’articolo 14 bis, contenente la riforma della cessazione della qualifica di rifiuto. Attualmente il comma 3 sancisce che un rifiuto cessa di essere tale nel momento in cui viene sottoposto a un’operazione di recupero, la quale deve essere svolta nel rispetto di determinate condizioni. Lo stesso articolo, al comma 2 definisce l’operazione di recupero: essa potrebbe anche consistere nel solo controllo dei rifiuti teso verificare che questi ultimi soddisfino i criteri stabiliti.

Esiste, però, un particolare tipo di rifiuto che necessariamente finisce in discarica o in inceneritore, con importanti ricadute negative per l’ambiente: i prodotti assorbenti monouso.

Il 23 luglio 2020 è entrato in vigore il Decreto ministeriale (15 maggio 2019, n. 62) per la “Cessazione della qualifica di rifiuto di prodotti assorbenti per la persona (PAP)”. Esso “stabilisce i criteri specifici nel rispetto dei quali le plastiche eterogenee a base di poliolefine, il SAP e la cellulosa derivanti dal recupero di rifiuti di prodotti assorbenti per la persona (PAP), cessano di essere qualificati come rifiuto”, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 184-ter del D.lgs. 152/2006.

Particolarmente interessante appare il caso dell’azienda FaterSMART che è stata la prima a sviluppare una tecnologia innovativa con cui trasformare i PAP utilizzati, in oggetti di uso quotidiano, come imballaggi e nuovi prodotti assorbenti.

Il processo di trasformazione dei PAP, una volta raggiunto l’impianto, segue tre fasi:

  1. stoccaggio dei rifiuti in ingresso;
  2. sanificazione ed essicazione, in cui il ruolo principale è svolto dall’autoclave;
  3. separazione delle materie prime e seconde.

Tale innovazione tecnologica, che consente di recuperare prodotti considerati non riciclabili, se impiegata a pieno regime potrebbe evitare le emissioni climalteranti prodotte in un anno da oltre mille automobili.

Al termine del processo produttivo di ciascun lotto si procede con la verifica dei criteri igienico-sanitari per tre tipologie di materiali: plastiche eterogenee a base di poliolefine (1), SAP (2) e cellulosa ad alto o basso contenuto di SAP (3). Tali materiali devono rispettare i criteri esposti nell’allegato I del Decreto End of Waste: 3a,3b e 3c.

FaterSMART si è dimostrata un’azienda pioniera ed un esempio virtuoso di economia circolare, peraltro con un rifiuto molto difficile da trattare. L’auspicio per il futuro è che si realizzi un più vasto impiego dell’economia circolare e una maggiore attenzione alla tutela dell’ambiente da parte di un crescente numero di aziende.

Valerio Boldrini, Vincenzo Di Martino, Doina Toma, Marica Troise