Microplastiche nell’acqua potabile

Le microplastiche sono minuscoli frammenti di plastica, con dimensioni inferiori a 5 millimetri, così piccole che non si possono osservare senza l’aiuto di un microscopio.

Le microplastiche possono essere classificate in due modi:

  1. Microplastiche primarie: sono piccole particelle di plastica, prodotte intenzionalmente di queste dimensioni, che possono finire nelle acque di scarico. A queste si aggiungono tutti i piccoli granuli di plastica che rappresentano uno “scarto” nella produzione di oggetti di plastica più grandi che possono accidentalmente disperdersi e raggiungere l’ambiente;
  2. Microplastiche secondarie: queste si formano quando oggetti di plastica più grandi, come bottiglie d’acqua, sacchetti di plastica e persino pneumatici delle auto, nel tempo si degradano in frammenti sempre più piccoli a causa dell’azione di fattori come la luce solare e le onde del mare.

Date le loro dimensioni esigue, le microplastiche rappresentano un potenziale contaminante per i diversi ecosistemi, incluse le risorse idriche destinate al consumo umano. Difatti, dopo aver fatto il loro ingresso nell’ambiente attraverso le modalità precedentemente descritte, le microplastiche possono raggiungere i corpi idrici superficiali e sotterranei. Successivamente, le precipitazioni atmosferiche possono trasportare tali particelle dalle superfici stradali e dai terreni agricoli verso fiumi e laghi, dove, a causa della loro natura persistente, data anche e non solo dalle ridotte dimensioni, possono permanere a lungo. Una volta giunte in questi ambienti, le microplastiche possono potenzialmente superare i processi di trattamento degli impianti di potabilizzazione, i quali potrebbero non essere in grado di rimuoverle completamente. Di conseguenza, tali microparticelle possono ritrovarsi nelle reti idriche domestiche e, infine, essere ingerite da tutti noi.

A livello normativo, l’Unione Europea ha adottato la Direttiva sulla qualità delle acque destinate al consumo umano (Direttiva 2020/2184), che stabilisce standard rigorosi per la presenza di contaminanti, inclusi i microinquinanti.

La Direttiva, nel riconosce che le microplastiche possono contaminare l’acqua potabile, richiede alla Commissione Europea di sviluppare una metodologia per misurare le microplastiche nelle acque destinate al consumo umano. Una volta definita la metodologia, la Direttiva prevede di includere le microplastiche in una lista di controllo di sostanze, attraverso il cosiddetto “meccanismo dell’elenco di controllo”. Questa lista serve per monitorare sostanze che potrebbero rappresentare un rischio per la salute umana, ma per le quali non sono ancora stati stabiliti limiti o valori soglia a livello europeo. L’obiettivo è quello di acquisire maggiori informazioni sulla presenza di microplastiche nell’acqua potabile e sui potenziali rischi per la salute, in modo da poter decidere in futuro se sia necessario stabilire dei limiti. Grazie all’elenco di controllo, gli Stati membri possono imporre ai fornitori di acqua di monitorare e trattare i parametri in esso inclusi.

Tra i principali effetti a lungo termine sulla salute umana causati dalla presenza delle microplastiche nell’acqua potabile vi sono:

  • Danno fisico: le microplastiche molto piccole potrebbero essere in grado di passare attraverso le difese naturali del nostro corpo e dunque causare irritazione o danni ai nostri organi;   
  • Esposizione chimica: le materie plastiche possono contenere varie sostanze chimiche aggiunte durante la fabbricazione. Bevendo acqua con microplastiche, queste sostanze chimiche potrebbero essere rilasciate nel nostro corpo;
  • Germi dannosi: le microplastiche possono ospitare piccoli germi (come i batteri). Bevendo acqua contaminata da queste sostanze, potremmo essere esposti a questi germi.    

Tra le misure che possono essere adottate per ridurre la possibilità che le microplastiche finiscano nell’acqua potabile, vi sono: l’utilizzo di un filtro per l’acqua di casa; l’uso di borracce riutilizzabili invece delle classiche bottiglie di plastica usa e getta (a volte, infatti, queste bottiglie possono rilasciare piccole particelle di plastica nell’acqua); la riduzione, in termini generali, della quantità di plastica adoperata (meno plastica viene consumata, meno è probabile che si trasformi in microplastiche che possono inquinare l’acqua).

È importante sottolineare che la maggior parte degli studi finora pubblicati evidenziano bassi livelli di microplastiche nelle acque potabile tali da non causare problemi di salute significativi. Tuttavia, poiché si tratta di un settore di ricerca relativamente nuovo, gli scienziati continuano a studiare i rischi potenziali sull’uomo.

Valentina Orlandi