L’inquinamento e le responsabilità delle Carbon Majors

In occasione del World Economic Forum tenutosi a Davos nel gennaio 2023, il Segretario generale dell’ONU Guterres si è scagliato contro le principali compagnie petrolifere e del gas che, oltre ad approfittare della particolare situazione di crisi energetica che si è creata all’indomani conflitto ucraino, hanno a suo dire sottovalutato e non tenuto in debita considerazione gli effetti delle loro attività estrattive. Nel farlo, il Segretario ha citato uno studio pubblicato da Science in cui si dichiarava che alcuni produttori di combustibili fossili, in primis Exxon, fin dagli anni 70 fossero consapevoli degli impatti negativi derivanti dai loro prodotti sul pianeta. Paragonando l’industria fossile a quella del tabacco, Guterres ha sottolineato come le Carbon Majors pur sapendo abbiano mentito o fatto finta di nulla.

Il tema delle responsabilità delle aziende fossili nei cambiamenti climatici è ormai ampiamente dibattuto a livello internazionale. Particolarmente interessante, in questo senso, è il Rapporto pubblicato nel maggio 2022 dalla Commissione per i diritti umani delle Filippine sugli impatti dei cambiamenti climatici.

Lo studio, avviato nel 2015 in risposta a una petizione presentata da Greenpeace e altre ONG all’indomani di una serie di eventi meteorologici particolarmente violenti, ha esaminato l’impatto del cambiamento climatico sui diritti umani del popolo filippino evidenziando, in particolare, le responsabilità dei maggiori produttori mondiali di combustibili fossili.

Tra gli aspetti che meritano di essere menzionati, vi è quello relativo alla territorialità delle attività poste in essere dalle Carbon Major. In effetti, quest’ultime avevano contestato la “giurisdizione” della Commissione sostenendo che il presunto comportamento illecito si sarebbe svolto in gran parte o completamente al di fuori delle Filippine. Su tali basi, ritenevano che la Commissione potesse indagare solo ed esclusivamente sulla condotta di entità societarie operanti nel territorio filippino. Tuttavia, la Commissione ha sostenuto che il dovere di analizzare le accuse di violazioni dei diritti umani subite dal popolo filippino rimanesse anche nel caso in cui tali violazioni fossero state causate da attività compiute al di fuori del territorio nazionale.

Per quanto attiene alle specifiche attività delle Carbon Majors, il Report ha concluso che queste erano consapevoli degli impatti dei loro prodotti sull’ambiente e sul sistema climatico e che le “ostruzioni intenzionali” hanno avuto come conseguenza quella di offuscare le scoperte scientifiche e ritardare un’azione ambientale e climatica significativa. 

Infine, il Rapporto ha raccomandato, tra l’altro, alle Carbon Majors 1) di rivelare pubblicamente i risultati della due diligence e della valutazione d’impatto sul clima e sui diritti umani nonché le misure adottate per affrontarli, 2) di rinunciare a tutte le attività che minacciano la scienza del clima e 3) di cessare l’esplorazione di nuovi giacimenti petroliferi.

I risultati dell’indagine condotta dalla Commissione filippina vanno letti all’interno di un mutato approccio alla responsabilità per i cambiamenti climatici. È evidente, infatti, come l’attenzione sia sempre più posta sul ruolo svolto dai maggiori inquinatori mondiali nella crisi climatica e sulla natura transfrontaliera del danno climatico che può portare, come sostenuto dalla Commissione filippina, a ritenere responsabili le società delle violazioni dei diritti umani perpetrate al di fuori dei territori in cui operano.

Va rilevato come i casi contro le Carbon Majors e le altre società coinvolte nell’estrazione di combustibili fossili o nella fornitura di energia fossile sono aumentati nel corso degli ultimi anni e sono stati sollevati sia dinanzi ai tribunali sia dinanzi ai punti di contatto nazionale dell’OCSE. Contestando le politiche e le strategie aziendali, i ricorrenti hanno cercato di impedire alle stesse aziende di continuare a svolgere tutte quelle attività che hanno avuto ed hanno ancora oggi un forte impatto sull’ambiente e il clima.

Tra i casi giurisprudenziale più rilevanti vi è quello che ha visto contrapporsi l’organizzazione ambientalista Milieudefensie a Shell (Milieudefensie e altri c. Royal Dutch Shell).

Il caso ha preso avvio il 5 aprile 2019, quando l’associazione ambientalista Milieudefensie/Friends of the Earth Netherlands insieme ad altre ONG e a più di 17000 cittadini, hanno citato in giudizio Shell sostenendo che alla luce degli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi e delle prove scientifiche sui pericoli del cambiamento climatico, Shell aveva il dovere di agire per ridurre le sue emissioni climalteranti. I ricorrenti ritenevano, inoltre, che le dichiarazioni fuorvianti in materia nonché l’azione inadeguata per ridurre il cambiamento climatico attuati da Shell rappresentassero una negligenza pericolosa per i cittadini olandesi oltre che una violazione del dovere di diligenza previsto sia a livello interno (Codice civile olandese) sia a livello internazionale (artt. 2 e 8 CEDU).

La Corte ha respinto l’affermazione di Shell secondo cui un obbligo di riduzione non avrebbe avuto alcun effetto in quanto tali emissioni sarebbero state “sostituite” da altre società e, pur riconoscendo come Shell da sola non potesse risolvere l’emergenza globale, ha ritenuto che ciò non la esonerava dalla sua responsabilità individuale. Con Sentenza del 26 maggio 2021, la Corte distrettuale dell’Aia (Sezione Commercio ed imprese), ha quindi accolto il ricorso e imposto a Shell di modificare la propria politica aziendale e di ridurre del 45% entro il 2030 le emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 2019.

Milieudefensie et al. v. Royal Dutch Shell plc è il primo caso in cui un tribunale ha riconosciuto in capo alle imprese una responsabilità indipendente rispetto a quella degli stati in materia di lotta all’inquinamento. Indubbiamente, la decisione della Corte rappresenta un precedente importante che potrebbe portare altri giudici nazionali a valutare li impegni assunti dalle aziende in termini di emissione.

In questo senso, merita di essere menzionato un caso ancora pendente: Notre Affaire à Tous e altri c. Total in cui i ricorrenti ritengono che Total, nonostante il piano di vigilanza adottato nel 2019, non abbia fornito informazioni sufficientemente dettagliate sulle azioni da intraprendere per ridurre le proprie emissioni adeguandosi agli accordi internazionali sul clima.

Andrea Crescenzi