Idrocarburi in mare

I fattori che minacciano quotidianamente la salute del mare sono vari e vanno dall’eccessiva antropizzazione ad opera dell’uomo, alla pesca intensiva e all’inquinamento. Tuttavia, è senza dubbio il trasporto marittimo di petrolio e dei prodotti della raffineria a rappresentare uno dei maggiori e più preoccupanti rischi per la protezione dell’ambiente marino. I principali rischi derivano dal verificarsi di incidenti, con conseguente sversamento di prodotti oleosi e inquinanti in mare, e dalle attività operative delle stesse navi. Basti pensare allo scarico in mare di acque di sentina o al lavaggio delle cisterne delle petroliere. A livello generale, possiamo dire, quindi, che gli sversamenti in mare di idrocarburi possono essere provocati da: incidenti più o meno gravi (inquinamenti accidentali), attività illegali (inquinamenti volontari) o attività di esercizio della nave (inquinamenti operazionali).

A livello internazionale, un primo tentativo di vietare la discarica o miscele di idrocarburi derivante, tra l’altro da operazioni di lavaggio delle cisterne, si è avuto con la Convenzione di Londra del 1954 “OilPol” emendata nel 1962.

Attualmente, sempre sul piano internazionale, la Convezione Marpol del 1973 aggiornata da un protocollo del 1978, rappresenta la principale fonte pattizia in materia di inquinamento marino provocato dalle navi. In particolare, la Convenzione ha introdotto una dettagliata normativa diretta a ridurre e prevenire l’inquinamento marino. Nello specifico, la Convezione di Marpol, che si compone di sei allegati tecnici, ciascuno dei quali si occupa di una potenziale fonte di inquinamento (petrolio, sostanze liquide nocive, sostanze dannose trasportate in imballaggi, liquami, rifiuti solidi e atmosferico), si applica a tutte le navi che hanno la nazionalità di una delle parti e/o che operano nella loro giurisdizione.

All’interno della normativa UE sull’inquinamento dell’ambiente marino, particolare rilievo assume in materia la direttiva (UE) 2019/883, del 17 aprile 2019, relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi, che ha modificato la direttiva 2000/59/CE. In particolare, la nuova direttiva ha l’obiettivo di proteggere l’ambiente marino dagli effetti negativi degli scarichi dei rifiuti delle navi e di migliorare la disponibilità e l’uso degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti delle navi.

A livello interno, la disciplina è per lo più di recepimento: della Convenzione di Marpol (legge 29 settembre, n. 662, e, per quanto riguarda il protocollo, con la legge 4 giugno 1982, n.438) e della direttiva 883/2019 (D.lgs. n.197/2021).

Il D.lgs. 197, in applicazione della direttiva, dispone la protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento derivante da rifiuti navali e il miglioramento degli impianti portuali di raccolta. Anche questo Decreto, come quello precedente, conferma i Piani di raccolta e di gestione dei rifiuti nonché la notifica anticipata, l’imposizione di un regime tariffario e un sistema sanzionatorio.

Recentemente, inoltre, è stato adottato il Piano Nazionale di pronto intervento per la difesa del mare e delle coste dagli inquinamenti di idrocarburi o di altre sostanze pericolose e nocive (DPCM del 11 ottobre 2022). Il Piano ha lo scopo di: 1) definire la risposta operativa del Servizio nazionale della protezione civile; 2) dare attuazione alle operazioni di valutazione, contenimento, riduzione ed eliminazione dell’inquinamento marino o costiero; 3) predisporre lo schema per redigere i Piani Provinciali di protezione civile per la gestione dell’inquinamento della costa o di altre sostanze pericolose o nocive.

Elisa Paiano