Dinanzi ad uno scenario come quello attuale, in cui il cambiamento climatico e l’inquinamento atmosferico sono sempre più evidenti, la maggior parte degli stati ha avviato un processo verso un modello di economia di tipo circolare tale da permettere il riciclo e il riutilizzo dei materiali, altrimenti destinati alle discariche o agli inceneritori.
L’Unione europea, in particolare, si è data obiettivi ambiziosi in termini di riduzione delle emissioni, utilizzo di tecnologie più pulite ed incremento dei materiali riciclati. Questi obiettivi sono previsti all’interno del “Green deal”, un piano adottato dalla Commissione nel 2019 che, tra l’altro, si pone l’obiettivo di rendere l’economia dell’UE sostenibile e circolare.
A livello nazionale, l’Italia ha istituito un apposito ministero per la gestione e supervisione del modello economico circolare: il “Ministero della Transizione Ecologica” (Mite).
Va detto, tuttavia, che già l’allora Ministero dell’ambiente aveva aderito allo “European Plastic Pact” (Patto europeo sulla Plastica – 2020) al fine di accelerare le attività di riuso e riciclo così da garantire una transizione più rapida verso l’economia circolare.
Per quanto riguarda l’aspetto specifico degli imballaggi, gli obiettivi di riciclo sono previsti all’interno del Decreto Legislativo 3 settembre 2020, n. 116, con cui si è recepita ladirettiva (UE) 2018/851 relativa ai rifiuti e agli imballaggi.
In particolare, nel sostenere la prevenzione della produzione dei rifiuti di imballaggio al fine di ridurre lo smaltimento e favorire la transizione verso un’economia circolare, il Decreto prevede il riciclaggio del 65% degli imballaggi entro il 2025 e il 70% entro il 2030. Nello specifico, per quanto riguarda le materie plastiche, gli obiettivi minimi di riciclaggio sono pari al 50% entro il 2025 e al 55% entro il 2030.
Il medesimo Decreto all’articolo 1 sostiene la prevenzione della produzione dei rifiuti di imballaggio, parallelamente al riutilizzo degli imballaggi, al riciclaggio e altre forme di recupero dei rifiuti di imballaggi. Questo consente la riduzione dello smaltimento finale dei rifiuti, allo scopo di contribuire alla transizione verso un’economia circolare.
Un ruolo centrale nel passaggio al modello di economia circolare è svolto dalle aziende che adottano modelli di produzione in cui il rifiuto, attraverso un processo di recupero e riconversione viene reimmesso nella filiera produttiva come materia prime secondarie (MPS) per la creazione di nuovi prodotti.
In questo senso, il report del Conai pubblicato nel 2020 ha mostrato come dell’ammontare totale delle materie plastiche consumate nel medesimo anno (2.209 Kton), il 48,7% era stato riciclato e il 44,6% era stato avviato al recupero energetico. Il trend è sicuramente positivo se si pensa che a livello europeo, come detto precedentemente, l’obiettivo era quello di riciclare almeno il 55% di tutti gli imballaggi in plastica entro il 2025.
Tra le aziende italiane specializzate in riciclo di cascami plastici provenienti dagli imballaggi industriali post consumo, particolarmente interessante risulta il processo di riciclo del Polietilene.
Questo materiale, infatti, dopo un attento esame qualitativo, viene stoccato in base alla sua tipologia. A questo punto le scorte vengono divise in modo da garantire uniformità di colore, spessore e percentuale di impurità. Dopo un’ulteriore selezione del materiale estraneo, il polietilene viene triturato per essere più facilmente gestito nelle successive fasi del processo produttivo e viene fatto confluire nelle linee di lavaggio. Al termine di questa fase il materiale presenta un’umidità elevata e viene disidratato tramite processo di torchiatura ed essiccazione. Una volta asciugato viene convogliato all’interno di estrusori, che producono granulo. Il prodotto così ottenuto è quindi un granulo che viene principalmente utilizzato da altre aziende e clienti per la trasformazione in sacchetti per la raccolta differenziata ed estrusione tubi.
L’approccio “green” di queste aziende virtuose lo si riscontra non solo nella finalità del processo produttivo vero e proprio, che, come abbiamo visto, reimmette un rifiuto nell’economia come materia prima seconda, ma anche nell’attenzione ad un ridotto impatto ambientale dei processi produttivi stessi. Difatti, il processo di lavorazione della materia plastica appena descritto, in nessuna delle sue fasi contempla emissioni di Co2 legate ad esempio a processi di combustione.
Il processo produttivo implementato da questi operatori consente di ridurre, e in parte azzerare, gli sprechi di acqua. Le fasi del processo produttivo che richiedono l’utilizzo di risorsa idrica, come il raffreddamento dei macchinari, il raffinamento e il lavaggio di materie prime, sono condotte con l’utilizzo di tecnologie che consentono di prelevare l’acqua dai canali di scolo il primo giorno di attività lavorativa, di impiegarla nel processo produttivo e depurarla affinché possa essere riutilizzata. Questo approccio permette di reintegrare unicamente le eventuali perdite, senza prelevare la risorsa ad ogni ciclo produttivo, creando quindi un circuito chiuso.
Da ultimo, le aziende del riciclo operano sotto la supervisione e nel rispetto delle indicazioni di consorzi obbligatori con risonanza nazionale e sovranazionale, come Corepla e Conai, ma anche di consorzi volontari come C.A.R.P.I. e I.P.P.R.
Ne discende che esse devono impegnarsi a rispettare tutti i requisiti necessari per operare; questo garantisce una sicurezza maggiore non solo in termini ambientali, ma soprattutto per il consumatore che avrà così la certezza della qualità del prodotto che sta utilizzando, con la consapevolezza che il riciclo di quel materiale non produrrà scarti che saranno dispersi nell’ambiente, ma avranno una seconda vita, creando il cosiddetto “Closing Loop”.
Anna Rizzi