Zara, al pari di altri brand come Bershka, Oysho, Stradivarius e Pull & Bear, fa parte di un’unica grande azienda dal nome “Inditex” specializzata nel settore del “fast fashion”.
Inditex, sfruttando il modello di business dei brandi luxury, è riuscita a diventare la loro alternativa economica, oltre che una delle aziende di punta del settore fast – fashion. Va detto che, un modello così sviluppato conduce sia ad un ciclo di vita molto breve del prodotto che ad un elevato accumulo di rifiuti, spesso non biodegradabili.
Lo spreco di materiali, la difficoltà a garantire il riciclo dei potenziali rifiuti e l’impiego intensivo di risorse naturali, fanno della moda “veloce” uno dei settori più inquinanti oggi esistenti. Proprio per questo, negli anni più recenti, l’industria della moda ha cercato di rispondere alle richieste sempre più consapevoli dei consumatori, attraverso un prodotto sostenibile in grado di garantire qualità e tracciabilità della filiera.
I cambiamenti aziendali intrapresi cercano di rispondere a quanto di normativo adottato a livello Europeo. Basti pensare a tutte quelle iniziative politiche che rientrano nel c.d. Green Deal (comunicazione n.640/2019). Queste mirano a raggiungere un modello di crescita efficiente e sostenibile, volto a contrastare i cambiamenti climatici e proteggere l’ambiente. Tra le misure adottate ai fini dell’attuazione del Green Deal, rientra anche la “strategia per prodotti tessili sostenibili e circolari” (COM (2022) 141 final – 30 marzo 2022). Lo scopo di quest’ultima è quello di realizzare un’economia circolare e climaticamente neutra, in cui i prodotti sono concepiti per essere durevoli, riutilizzabili, riparabili, riciclabili ed efficienti, specialmente sotto il profilo energetico.
A livello generale, la Strategia evidenzia come la produzione mondiale di prodotti tessili è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2015 e che il consumo di capi di abbigliamento e calzature dovrebbe aumentare ancora del 63% entro il 2030. Nel solo continente europeo, il consumo di prodotti tessili rappresenta oggi il quarto maggiore impatto negativo sull’ambiente e sui cambiamenti climatici e il terzo per quanto riguarda l’uso dell’acqua. In aggiunta, la Strategia sottolinea come ogni anno all’interno dell’UE vengano buttati circa 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili, pari a circa 11 kg a persona. Dinanzi a tali dati preoccupanti, l’UE ha individuato alcuni ambiti di intervento:
- Ecodesign: La Commissione intende introdurre una politica specifica per i prodotti tessili, sulla base di quanto previsto dalla Direttiva “Ecodesign”. Questa contiene i requisiti minimi (in termini di sostenibilità, materiali da utilizzare, riciclabilità, durata nel tempo, riparabilità, possibilità di riutilizzo) che i produttori dovranno rispettare per poter accedere al mercato europeo. L’idea alla base di tale misura è quella di predisporre dei controlli al fine di eliminare dal mercato tutti i prodotti non conformi;
- Tracciabilità e Trasparenza della Filiera: Tra i punti maggiormente a cuore della Commissione europea vi sono quelli di garantire una totale tracciabilità dei prodotti a livello ambientale, di tutela dei diritti umani, di corretta strutturazione del governo societario e di impatto sociale;
- Responsabilità Estesa del Produttore – (“EPR – Extended Producer Responsibility”): sulla base della Strategia i produttori avranno la responsabilità sulla gestione e lo smaltimento dei rifiuti tessili e sulle diverse fasi di riciclo dei prodotti. Inoltre, dovranno garantire che le proprie attività rispettino gli standard minimi previsti in termini di percentuale di prodotti riciclati e riutilizzati;
- Commercio dei prodotti: La Commissione, facendo leva sugli accordi commerciali import/export sottoscritti tra paesi Membri e paesi extra-UE, intende promuovere e favorire quei produttori che, per tutta la filiera produttiva, intrattengono rapporti commerciali con partners che rispettano quanto previsto a livello normativo in termini di sostenibilità.
Zara, per allinearsi alle normative europeo, ha sviluppato la c.d “strategia sostenibile”, progetto che ha come obiettivo la riduzione dell’inquinamento prodotto dalla filiera produttiva, in un’ottica di decarbonizzazione.
In particolare, da quanto emerso dal Report annuale 2021, il Gruppo Index si è dichiarato disposto ad anticipare l’obiettivo di zero emissioni al 2040 (Dieci anni prima di quanto inizialmente previsto).
Il Report riporta, poi, degli impegni a breve termine:
- entro 2022 più del 50% dei prodotti venduti dovranno avere il marchio “Join Life” e il 100% del consumo energetico deve arrivare da fonti rinnovabili, in tutti gli stabilimenti dell’azienda;
- entro il 2023 il 100 % dei capi in viscosa dovranno essere sostenibili ed è prevista l’eliminazione totale dei sacchetti e scatole di plastica e l’uso di imballaggi completamente riciclabili lungo tutta la catena di fornitura;
- entro il 2025 il 100 % dei capi in cotone, lino e poliestere dovranno essere sostenibili e il consumo dell’acqua dovrà essere ridotto del 25% lungo tutta la catena di fornitura.
In linea con quanto richiesto dall’UE in materia di Ecodesign, Zara ha introdotto il programma Inditex Green to Wear + per valutare le prestazioni ambientali nelle varie fasi della produzione. In particolare, la valutazione avviene tramite un questionario riguardante le seguenti aree: materie prime, acqua, tecnologia e processi, prodotti chimici, acque reflue e rifiuti ed energia. I risultati ottenuti dal questionario permettono di classificare le aziende in base alle loro prestazioni ambientali (A – “Best in class”, B – “Good Performance”, C – Poor Performance, D – Very Poor Performance). Tali criteri di valutazione sono decisi da Inditex.
Ad oggi è quanto mai evidente come il settore tessile e, quello della fast fashion in particolare, per le loro intrinseche caratteristiche, non siano sostenibili. Nonostante l’impegno di alcune aziende del settore, come nel caso di Zara, l’impatto della loro produzione a livello ambientale è ancora molto elevato. Va detto, inoltre, che ancora oggi si sta facendo poco sul tema del overconsumption. Mancano, infatti, delle campagne di sensibilizzazione dei consumatori, soprattutto quelli più giovani, tese a evidenziare come si producano e si acquistino troppi vestiti. In alcuni casi, ad aggravare tale situazione è il fenomeno del greenwashing, strategia volta esclusivamente al miglioramento dell’immagine del marchio. Questa potrebbe incidere sulla consapevolezza dei consumatori, alimentando così il tema dell’overconsumption.