La demolizione navale, meglio nota come ship-breaking, è una forma di smaltimento delle navi che consente il recupero e il riutilizzo di materiali, conosciuta, però, per essere una delle attività più pericolose al mondo.
Se fino agli anni 70’ le navi venivano principalmente rottamate in Europa e Stati Uniti, con il successivo inasprimento delle leggi sulla protezione ambientale e sociale, il mercato iniziò a spostarsi verso paesi con quadri giuridici più deboli, dove, l’assenza di regolamentazione, i bassi salari e la scarsa attenzione ai problemi ambientali hanno favorito la crescita del settore. Ad oggi, infatti, migliaia sono le navi che, giunte alla fine del loro ciclo vitale (della durata di 25-30 anni), partono dai paesi più “sviluppati” per finire lungo le spiagge dell’Asia meridionale dove vengono demolite manualmente dai lavoratori in condizioni prive di sicurezza e di rispetto per l’uomo e per l’ambiente. Secondo l’NGO Shipbreaking Platform, solo nel 2022, sono state arenate e smantellate sulle spiagge di Bangladesh, India e Pakistan, 292 navi mercantili e offshore.
A causa proprio dell’assenza di adeguate strutture e dispositivi di protezione, molteplici sono i rischi a cui vengono esposti, ogni giorno, i lavoratori, i qualipossono incorrere in incidenti o sviluppare malattie professionali dovute all’inalazione di rifiuti tossici come amianto e metalli pesanti. A ciò va aggiunto, inoltre, come le fuoriuscite di petrolio, i detriti contaminati e i fanghi siano responsabili di un impatto rilevante per l’ecosistema costiero e le comunità locali circostanti.
Lo ship-breaking, dunque, rappresenta un vero e proprio problema al quale l’Organizzazione marittima internazionale (IMO), ha voluto dare risposta con l’adozione, nel maggio del 2009, della Convenzione di Hong Kong per un riciclaggio delle navi sicuro e compatibile con l’ambiente. L’entrata in vigore di quest’ultima è, però, prevista per il 2025 in quanto il soddisfacimento di tutti i requisiti richiesti è stato raggiunto solo nel giugno del 2023, grazie all’adesione di Bangladesh e Liberia. L’obiettivo, così, perseguito dalla Convenzione è quello di fornire delle misure con le quali poter eliminare o minimizzare gli effetti negativi prodotti dall’attuale sistema di demolizione delle navi sulla salute umana e sull’ambiente, attribuendo precise responsabilità e obblighi a tutte le parti interessate (armatori, cantieri navali, impianti di riciclaggio delle navi, Stati di bandiera, Stati di approdo e Stati di riciclaggio). Tra i diversi aspetti trattati, infatti, non si discute solo della necessità di gestire in maniera corretta gli impianti di riciclaggio ma, anche, dell’importanza di intervenire nella fase di progettazione e costruzione delle navi durante le quali favorire l’uso di materiali meno impattanti. Di conseguenza, numerosi sono gli interventi che i Paesi parte saranno chiamati ad implementare quali, ad esempio, dotare gli impianti di riciclaggio di un “piano di riciclaggio delle navi” specifico per ogni singola imbarcazione da riciclare e predisporre le navi di un “inventario dei materiali pericolosi”.
A stabilire, tuttavia, degli standard più elevati è il regolamento dell’Unione europea (UE) sul riciclaggio delle navi (1257/2013) reso possibile in seguito alla decisione 2014/241/UE concernente la ratifica della Convenzione di Hong Kong. Il regolamento, di fatto, impone alle grandi navi marittime, che navigano sotto bandiera di uno Stato membro dell’UE, di adottare uno degli impianti di riciclaggio, approvati ed inseriti nell’elenco europeo degli impianti di riciclaggio delle navi. Il forte interesse, così, mostrato dall’Unione europea nel contrastare lo ship-breaking appare fondamentale considerando che la maggior parte delle navi vendute e demolite in Asia meridionale sono di proprietà di armatori europei, i quali sono ritenuti tra i principali responsabili di tale fenomeno insieme agli asiatici.
Nonostante i notevoli sforzi e progressi compiuti, numerose sono state le critiche manifestate da parte delle Ong di tutto il mondo, le quali hanno appunto evidenziato la facilità con cui gli armatori aggirano o violano le leggi vigenti. Considerato l’attuale scenario e il sempre e più crescente numero di navi da demolire, risulta fondamentale la necessità di adottare un sistema capace di dirottare le navi verso cantieri di riciclaggio più sicuri e rispettosi dell’ambiente.
Sofia Pavlidi