La Convenzione di Barcellona definisce il termine inquinamento marino come: “l’introduzione diretta o indiretta, da parte dell’uomo, di sostanze o di energia nell’ambiente marino, quando essa comporta effetti nocivi, quali danni alle risorse biologiche, rischi per la salute umana, ostacoli alle attività marittime, deterioramento della qualità delle acque marine, nonché lo scadimento delle attrattive dei luoghi”.
Tra i fattori che determinano l’inquinamento vi sono:
- l’aumento della popolazione, che in poco più di un secolo si è triplicata determinando così un aumento nei consumi con la conseguenza di un aumento degli scarichi organici di produzione umana.
- lo sviluppo industriale e l’aumento nell’utilizzo di sostanze chimiche difficilmente degradabili e che contengono, in alcuni casi, anche metalli tossici.
- la crescita della produzione agricola. Come rilevato dalla FAO,l’80% dell’inquinamento marino globale proviene dal deflusso delle attività agricole, dalle acque reflue non trattate, dallo scarico di sostanze nutritive e dai pesticidi utilizzati.
- la perdita in mare di petrolio, causata principalmente dagli esseri umani, ma con una percentuale imputabile a eventi naturali, che provoca una diminuzione dell’ossigeno nell’acqua, comportando la morte di molti organismi marini.
Da un punto di vista normativo, la Convenzione di Barcellona è stata adottata nel 1975 e, a seguito del Piano d’azione per la protezione dell’ambiente marino e lo sviluppo sostenibile delle aree costiere del Mediterraneo (MAP Fase II), è divenuta “Convenzione per la protezione dell’ambiente marino e la regione costiera del Mediterraneo”. Il fine è quello di proteggere le acque marine interne del Mediterraneo e le aree costiere attraverso misure idonee, per prevenire, diminuire e combattere l’inquinamento (art.4).
In linea con tale articolo, la Convenzione ha previsto l’istituzione della Commissione mediterranea per lo sviluppo sostenibile (MCSD). La Commissione è composta da 16 paesi e svolge la funzione di organo consultivo delle parti contraenti per assisterle nei loro sforzi, per integrare le questioni ambientali nei loro programmi socioeconomici e per promuovere politiche di sviluppo sostenibile nella regione e nei paesi del Mediterraneo. La Commissione comprende non solo rappresentanti del governo ma anche autorità locali, attori socioeconomici, organizzazioni non governative ed intergovernative, comunità scientifica e parlamentari.
Alla Commissione sono affidati i seguenti compiti:
- garantire lo sviluppo sostenibile nelle aree marine e costiere;
- promuovere la gestione delle risorse, la produzione e la sicurezza alimentare attraverso forme sostenibili di sviluppo rurale;
- pianificare e gestire città mediterranee sostenibili, compreso il rafforzamento della resilienza urbana al fine di ridurre la vulnerabilità ai rischi derivanti da pericoli naturali e antropici, compresi i cambiamenti climatici;
- affrontare il cambiamento climatico come una questione prioritaria per il Mediterraneo;
- garantire transizione verso un’economia verde e blu;
- migliorare la governance a sostegno dello sviluppo sostenibile.
A livello europeo particolare rilievo assume la Direttiva 2008/56/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino (Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino) e che prevede, tra l’altro, i seguenti obiettivi:
- proteggere in modo più efficace l’ambiente marino in tutta Europa.
- istituire un quadro di riferimento a livello normativo per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino.
- attuare forme di cooperazione tra i diversi paesi EU.
- creare una rete globale di aree marine protette attraverso la cooperazione a livello internazionale.
A livello internazionale, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente ha adottato nel 2019 il Rapporto su Addressing Marine Plastics: A Systemic Approach – Recommendations for Actions che identifica le modalità per gestire lo smaltimento della plastica marina in ogni fase della catena del valore e raccomanda azioni da intraprendere, da parte delle diverse parti interessate, per raggiungere un’economia circolare per la plastica a livello globale.
Anche l’UNEP, nel quindicesimo rapporto affronta il tema dell’inquinamento marino, ponendo l’attenzione sui rifiuti di plastica. È stato infatti proposto un piano per ridurre i rifiuti in mare e nelle spiagge del 20% dal 2015 al 2020 con l’obiettivo di educare la società e tutti i principali stakeholders. Molte delle misure sono relative alla produzione e al consumo sostenibile, nonché la rimozione dei rifiuti marini esistenti. Questo fenomeno assume una connotazione particolarmente critica per quanto riguarda i fondali oceanici, dove si posiziona il 90% dei rifiuti.
Recenti studi hanno dimostrato che le cause del degrado marino sono dovute prevalentemente ai circa 12.7 milioni di tonnellate di plastica presenti in mare.
In conclusione, e alla luce delle considerazioni e criticità rilevate dal rapporto sopra citato, se non si attueranno tempestivamente delle misure rilevanti, nei prossimi 10 anni si prevede che la quantità di plastica nel Mar Mediterraneo aumenterà vertiginosamente.
Beatrice Russo