Il 28 luglio 2010 rappresenta un momento particolarmente significativo nell’ambito del riconoscimento del diritto all’acqua come imprescindibile per la vita di ogni individuo. In questa data, infatti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha emanato la risoluzione 64/292, atto con cui per la prima volta viene riconosciuto il diritto umano all’acqua potabile ed ai servizi igienico-sanitari come essenziale per la qualità della vita, nonché base per l’esercizio di tutti gli altri diritti dell’uomo.
Ad oggi, a più di dieci anni dal provvedimento, è l’obiettivo 6 dell’Agenda 2030 il documento che prevede una concreta realizzazione di tale diritto, mirando a garantire la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua per tutti entro il 2030.
In tale contesto, è interessante considerare la rilevanza che il raggiungimento di questo obiettivo ha per il mondo femminile.
A questo proposito, in uno dei sotto-target in cui è declinato l’obiettivo 6, si fa riferimento proprio alla particolare attenzione che dovrebbe essere prestata ai bisogni peculiari delle donne. In ogni momento della loro vita, infatti, le donne hanno necessità specifiche che le rendono maggiormente esposte ai rischi derivanti da un inadeguato accesso all’acqua e ai servizi igienico sanitari. Basti pensare al momento del parto: la disponibilità di acqua pulita risulta determinante per la vita o la morte sia della madre che del bambino.
Tuttavia, se a livello internazionale si sta acquisendo una maggiore consapevolezza su questo tema, va detto che l’aspetto pratico manca ancora di adeguate misure attuative. Ciò non lascia ben sperare circa il raggiungimento dell’obiettivo 6, con particolare riferimento ai Paesi in via di sviluppo.
Ad oggi, i dati pubblicati dall’UN-Water mostrano come ogni anno 1 milione di morti tra madri e nascituri derivino da condizioni igieniche precarie al momento della nascita, specialmente laddove è assente qualsiasi struttura igienico-sanitaria.
È inoltre opportuno prendere atto del ruolo determinante che ha il genere femminile nel campo della gestione delle risorse idriche. Donne e ragazze sono, infatti, responsabili della raccolta e dell’utilizzo dell’acqua nell’80% delle abitazioni in cui non è presente. Di conseguenza, esse sono spesso obbligate a percorrere molti chilometri per recuperare l’acqua necessaria allo svolgimento delle mansioni domestiche.
Questo significa che una riduzione della platea di persone con accesso garantito ai servizi idrici comporta certamente un forte impatto negativo sulla parità di genere; basti pensare che il tempo che le donne dedicano alla raccolta e al trasporto di acqua implica necessariamente l’impossibilità di andare a scuola o di svolgere mansioni remunerative, attività che potenzialmente permetterebbe loro di conquistare una certa indipendenza.
A tale proposito, il rapporto del 2016 pubblicato dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari, Léo Helle, ha evidenziato come lo scarso accesso all’acqua e alle strutture connesse abbia un impatto di gran lunga peggiore per le donne, perché compromette la realizzazione di altri diritti umani, quali l’autodeterminazione, l’indipendenza economica e l’istruzione. L’abbattimento di tali disuguaglianze può, quindi, condurre ad una maggiore libertà delle donne nella gestione del proprio tempo, nonché ad una più ampia autonomia decisionale sulle proprie vite.
Secondo il già citato l’UN-Water, il raggiungimento della parità di genere passa, tra l’altro, per un’adeguata progettazione delle strutture idriche e igienico-sanitarie a livello locale. Anche in questo caso, il coinvolgimento delle donne risulta determinante: l’attenzione ai bisogni del genere femminile nella pianificazione e nell’implementazione di tali strutture dovrebbe avere come obiettivo la riduzione dei tempi e dell’energia necessari alla raccolta, oltre al miglioramento dell’idoneità e della sostenibilità a livello universale.
Tuttavia, ad oggi, le donne vengono scarsamente coinvolte nelle decisioni riguardanti la costruzione o il miglioramento delle infrastrutture idriche. Ciò rappresenta una delle principali cause di inadeguatezza e malfunzionamento delle stesse.
Particolare rilievo assumono, in questo ambito, i progetti intrapresi dal World Water Assessment Programme (WWAP) avviato dall’UNESCO nel 2000. Tale programma è da sempre impegnato nell’implementazione di progetti idrici che integrano la prospettiva di genere al proprio interno. In tali progetti il WAPP si occupa del monitoraggio, della rendicontazione e del reporting sull’acqua utilizzando strumenti e indicatori disaggregati in base al genere: ciò consente di ottenere un approccio metodologico solido per includere efficacemente le necessità legate al genere nella realizzazione dei progetti di approvvigionamento idrico.
Un’ampia analisi condotta dal WWAP nel 2020, dal titolo “Taking Stock of Gender Equality Progress in the Water Domain”, ha dimostrato che i progressi verso la realizzazione dell’uguaglianza di genere in ambito idrico sono gravemente insufficienti. Le disuguaglianze, infatti, persistono ancora a tutti i livelli del settore. Uno dei risultati dell’analisi mostra come il basso livello di partecipazione delle donne alla gestione e al governo dell’acqua sia, almeno in parte, dovuto al basso livello di istruzione e formazione per le posizioni tecniche e di leadership nel settore idrico. Così, anche se i dirigenti del settore fossero disposti ad assumere donne, pochissime di loro si candiderebbero.
I risultati chiave e le raccomandazioni concrete di questo studio sono stati presentati nel Documento “Call for Action to accelerate the achievement of Gender Equality in the Water Domain”, redatto nel 2021 insieme a una coalizione multi-stakeholder composta da agenzie ONU, organizzazioni internazionali e regionali, ONG e altre istituzioni degli Stati membri, appartenenti al settore privato e alla società civile. In particolare, il Documento invita gli stati ad adottare azioni positive volte ad accelerare la parità di genere e l’emancipazione delle donne nel settore idrico (1) e a sviluppare e attuare strategie inclusive (2).
In conclusione, nonostante rimanga ancora molto da fare, studi e iniziative come questi risultano preziosi per progredire sempre più nell’uguaglianza di genere in materia di acqua, e mirare a soddisfare quanto previsto dall’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
Marianna Casprini.