La responsabilità per danno ambientale

La tutela dell’ambiente è uno tra gli obiettivi principali dell’azione della Comunità internazionale e degli Stati.

La sensibilità alla tematica ambientale si è sviluppata a partire dagli anni Settanta del secolo scorso.

Da quel momento, sia in ambito sociale sia a livello istituzionale, è iniziata una sempre maggiore attenzione nei confronti della questione ambientale e della necessita di preservare l’ecosistema.

Va detto che a livello statale, le Carte Costituzionali non contenevano dei riferimenti espliciti al tema dell’ambiente quale bene di interesse primario degno di tutela come per il bene “vita” e per la “salute”.

In tal senso, essenziale è stato l’apporto del diritto internazionale, dove le dichiarazioni di principi, i trattati e le varie convenzioni adottati hanno riconosciuto il valore dell’ambiente e il nucleo essenziale di principi e criteri idonei ad una sua tutela.

Per quanto attiene al tema specifico dell’illecito ambientale, esso riprende nella sua struttura, le caratteristiche dell’illecito internazionale. Per tale ragione, qualora si verifichi la responsabilità per danno ambientale, per lo stato responsabile scaturiscono tre conseguenze:

1. l’obbligo di cessazione dell’illecito;

2. l’obbligo di ripristino;

3. l’obbligo di riparazione.

Quindi, in presenza di una condotta lesiva dell’ambiente, chiunque l’abbia posta in essere, sia che si tratti di uno Stato in violazione delle norme internazionali e comunitarie, che di un ente, un’impresa o un privato cittadino, sarà chiamato a rispondere del danno causato, ovvero delle conseguenze negative prodotte all’ambiente.

Nell’ambito del diritto internazionale rilevano in particolare tre principi: di prevenzione, di precauzione e “chi inquina paga”.

Questi tre principi indicano le linee che la disciplina ambientale segue: cercare innanzitutto di evitare qualunque azione che possa provocare una lesione all’ecosistema, agendo in via preventiva (1) e, al tempo stesso, estendere quanto più possibile il sistema sanzionatorio, creando una stretta connessione tra la disciplina dell’illecito civile e quella dell’illecito penale (2).

Con il principio di prevenzione, sono stabilite le regole volte ad evitare che possa generarsi un danno irreversibile all’ambiente a seguito del compimento di attività e/o comportamenti commissivi o omissivi rispetto ai quali è già certo il rischio ambientale.

Con il principio di precauzione, invece, si dispone che, grazie allo sviluppo scientifico e tecnologico, qualora non si possa prevedere se e quali conseguenze ambientali potranno generare le attività da intraprendere, tanto gli Stati quanto i singoli operatori economici sono obbligati ad adottare tutte le misure cautelative necessarie, soprattutto in presenza di situazioni di incertezza scientifica.

Lo scopo ultimo della precauzione, infatti, è quello di gestire circostanze di pericolo ambientale ancora sconosciute, o conosciute solo parzialmente.

Inoltre, all’interno della disciplina della responsabilità per danno ambientale, occupa un posto centrale il sistema sanzionatorio, a cui si ricorre qualora si sia verificata la condotta lesiva e sia necessario porre rimedio al danno.

Il principio fondamentale che regola la disciplina del danno ambientale è quello del “chi inquina paga”. Sulla base di tale criterio, gli effetti negativi dell’inquinamento, ed i costi ad esso relativi, devono essere imputati agli inquinatori, e non ricadere sulla collettività.

Diversi sono i criteri attraverso i quali viene individuata la responsabilità di chi abbia determinato un danno all’ecosistema. Si ricordi, infatti, che la lesione può derivare non solo da condotte illecite, ma anche da attività lecite e autorizzate che, tuttavia, non vengono realizzate rispettando determinate regole di condotta.

In quest’ultimo caso, l’illiceità o meno del comportamento origine del danno risulta irrilevante o, meglio, come componente esterna alla fattispecie del pregiudizio ecologico, quale danno ingiusto fonte di responsabilità.

È in questi casi che si instaura la responsabilità oggettiva, che richiede la sola esistenza di un nesso causale alla cui presenza l’operatore risponde del danno come conseguenza diretta della propria condotta.

In particolare, la responsabilità oggettiva si applica al danno ambientale causato da specifiche attività professionali previste a livello statale e determina, in campo processuale, un’inversione dell’onere della prova.

Accanto a tali ipotesi, è prevista poi la classica responsabilità soggettiva che, al contrario, richiede, oltre al nesso di causalità tra condotta ed evento, anche la sussistenza dell’elemento soggettivo, ovvero il dolo o la colpa, in capo a colui che ha tenuto il comportamento lesivo.

Una volta individuato il soggetto responsabile, questo, sulla base del principio “chi inquina paga”, sarà chiamato a risarcire il danno causato.

In tale contesto, la misura risarcitoria privilegiata è quella del ripristino dello stato dei luoghi in base alla quale, colui che abbia commesso il fatto è tenuto ad adottare tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire il danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori conseguenze a livello ambientale ed effetti nocivi per la salute umana. Al tempo stesso, deve adottare ogni misura necessaria, a proprie spese, per riportare i luoghi allo stato precedente all’evento lesivo.

Qualora tale ripristino non sia possibile, il soggetto sarà condannato al risarcire il danno per equivalente. In tale ipotesi, la scelta principale ricade nell’adozione di misure di riparazione “complementari” o “compensative”, volte a tutelare i luoghi danneggiati.

È innegabile, quindi, che la disciplina del danno ambientale abbia compiuto numerosi passi in avanti:

  • a livello internazionale, il tema è periodicamente oggetto di confronto tra gli stati;
  • a livello europeo, le varie Direttive adottate hanno armonizzato le normative degli Stati membri;
  • a livello nazionale, in cui si tutela l’ambiente sia dagli illeciti civili che da quelli penali.

Tuttavia, ad oggi alcune questioni restano aperte.

La prima attiene al rapporto tra ambiente e impresa. Infatti, se l’obiettivo generale è quello di prevenire danni all’ambiente, ancor di più che sanzionare condotte illecite, risulta essenziale l’affermazione di concetti innovativi come quello della Responsabilità Sociale d’Impresa: grazie alla quale si attua una vera e propria rivoluzione all’interno della governance aziendale e del suo rapporto con i vari stakeholders.

È innegabile, infatti, come molte attività aziendali sia per le loro caratteristiche strutturali, che per la condotta del management, abbiano nel tempo determinato non pochi danni all’ambiente.

C’è da dire che, con il passare del tempo, la tematica ambientale ha visto una crescita dell’interesse ha assunto maggiore interesse da parte dei vari operatori economici.

Quest’ultimi hanno gradualmente acquisito la consapevolezza di come indirizzare le proprie strategie aziendali, non solo verso attività esclusivamente lucrative, ma anche verso la protezione degli interessi generali (verso i competitors e i consumatori).

Questo avviene perché le imprese sono sempre più indirizzate alla sostenibilità della propria attività produttiva, cercando di minimizzare il loro impatto sull’ambiente.

Allo stesso tempo, il concetto di sostenibilità viene richiesto anche dai consumatori che impongono alle imprese di fare maggiore attenzione alle esigenze ambientali.

Va detto, infatti, che le persone sono sempre più sensibili alla tematica ambiente e sempre più consapevoli della limitatezza delle risorse.

Altra questione è quella del risarcimento del danno.

Infatti, il riconoscimento dell’ambiente quale bene principale che riguarda non solo la collettività, ma anche il singolo, richiederebbe la possibilità anche per il singolo, dinnanzi al verificarsi di un evento lesivo, di poter richiedere un risarcimento per il danno subito.

Per il privato cittadino è possibile richiedere un risarcimento solo nel caso in cui sia possibile dimostrare che, la lesione del bene ambiente abbia determinato un preciso e specifico effetto negativo nella sua sfera privata.

Va detto, però, che tale ricostruzione non è condivisa da quella parte di dottrina che ritiene che in questo modo si determini un ostacolo alla piena e completa tutela dell’ambiente e del suo godimento da parte di ogni membro della società.

Si crea, quindi, soprattutto a livello giurisprudenziale, una netta demarcazione tra lo Stato, unico detentore dell’interesse pubblico alla tutela dell’ambiente, e il privato cittadino, che è privo di strumenti idonei a far valere la propria posizione.

Se da una parte questa ricostruzione trova supporto nella classica distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, dall’altra parte è innegabile come si tratti di una differenziazione eccessivamente rigida, che non tiene conto di come sia possibile che specifici beni– interessi possano insistere tanto sulla sfera pubblica che su quella privata, entrambi meritevoli di essere tutelate.

Tutto questo porta a pensare che sia necessario che l’orientamento giurisprudenziale cambi, soprattutto quello della Corte di Cassazione, conformandosi, sempre nel rispetto del diritto positivo, all’evoluzione sociale e culturale e all’affermazione di nuovi valori e principi.

I passi per giungere a una completa tutela dell’ambiente sono ancora numerosi, così come non poche sono le lacune che caratterizzano soprattutto la normativa interna; la cooperazione internazionale è da questo punto di vista lo strumento indispensabile per vincere questa sfida centrale per il benessere di ognuno.

Valentina Proietti

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