Che cos’è un rifiuto radioattivo?

Lo sfruttamento dell’energia nucleare in Italia ha avuto luogo tra il 1963 e il 1990.

La decisione di avviare un processo di dismissione delle centrali nucleari fu presa in seguito al verificarsi di una serie di incidenti a livello internazionale, tra cui, quello di Chernobyl del 1986. In particolare, questo incidente influenzò negativamente l’opinione pubblica che iniziò a preoccuparsi sia del problema delle scorie radioattive sia degli effetti dell’utilizzo del nucleare sulla salute umana.

Per questo motivo, l’esito negativo del referendum portò alla chiusura, nei tre anni successivi, di tutte le centrali nucleari presenti sul territorio.

A seguito dello spegnimento, gli impianti furono messi in sicurezza tramite la “custodia protettiva con sicurezza passiva”, una specie di “letargo” in attesa del naturale calo dei livelli di radioattività per poter cominciare la fase di decommissioning affidata ad un apposito ente.

In questo quadro si inserisce il D.lgs.79 del 1999 (Decreto Bersani) che ha recepito la direttiva comunitaria 96/92/CE con cui si è proceduto alla liberalizzazione del settore elettrico in Italia. Il decreto, oltre a disporre la trasformazione di ENEL in una “Holding” formata da diverse società indipendenti, ha affidato la denuclearizzazione delle vecchie centrali e la gestione dei rifiuti radioattivi ad una società appositamente istituita: la Società Gestione Impianti Nucleari (SOGIN).

Si ricordi che per rifiuto radioattivo si intende ogni materiale derivante dall’utilizzo pacifico dell’energia nucleare, contenente isotopi radioattivi di cui non è previsto il riutilizzo. Lo scarto di combustibile nucleare esausto rappresenta la forma più conosciuta di rifiuto radioattivo, oltre che la più difficili da gestire in virtù della sua lunga permanenza nell’ambiente; ma anche altre attività umane portano alla produzione di questi rifiuti.

Il Decreto Ministeriale 7 agosto 2015 “Classificazione dei rifiuti radioattivi, ai sensi dell’Art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2014 n. 45”, ha distinto i rifiuti radioattivi in cinque categorie:

•       a vita media molto breve;

•       attività molto bassa;

•       bassa attività;

•       media attività;

•       alta attività.

a)     i Rifiuti radioattivi a vita media molto breve – sono quei rifiuti radioattivi che presentano un tempo di dimezzamento molto breve, inferiore a 100 giorni.

Questi rifiuti, che hanno origine da impieghi medici e di ricerca, devono essere conservati in idonee installazioni di deposito temporaneo o di gestione dei rifiuti ai fini dello smaltimento.

b)     Rifiuti radioattivi di attività molto bassa – in questa categoria rientrano principalmente quei materiali derivanti dalle attività di mantenimento in sicurezza e di smantellamento delle installazioni nucleari, da terreni o detriti contaminati provenienti da attività di bonifica.

Tali rifiuti possono essere smaltiti in impianti di smaltimento superficiali con barriere semplici, ovvero a piccole profondità, con barriere ingegneristiche.

c)      Rifiuti radioattivi di bassa attività – sono quei rifiuti radioattivi (provenienti dalle installazioni nucleari, quali parti e componenti di impianti provenienti dalle operazioni di smantellamento e da alcuni impieghi medici, industriali e di ricerca scientifica) che necessitano di un periodo do confinamento superiore ai cento anni (>100 anni). Tale categoria di rifiuti può essere smaltita in impianti di smaltimento superficiali.

d)     Rifiuti radioattivi di media attività – in questa categoria rientrano quei rifiuti che provengono dal decommissioning dei reattori nucleari, dagli impianti di fabbricazione di combustibile ad ossidi misti, dagli impianti di riprocessamento ovvero dai laboratori di ricerca scientifica. In tale categoria sono compresi anche i rifiuti che presentano caratteristiche simili derivanti da usi medici o industriali. Questi rifiuti richiedono un grado di isolamento superiore rispetto a quelli menzionati precedentemente per il loro smaltimento. Per tale ragion, dovranno essere immagazzinati in idonee strutture di stoccaggio, come l’impianto di immagazzinamento di lunga durata.

e)     Rifiuti radioattivi di alta attività – sono quei rifiuti radioattivi che presentano concentrazioni di attività molto elevate, tali da generare una significativa quantità di calore. Essi richiedono un grado di isolamento e confinamento superiore a migliaia di anni (> 1000 anni). In questa categoria rientrano, i rifiuti liquidi a elevata concentrazione di attività derivanti dal primo ciclo di estrazione negli impianti industriali di riprocessamento del combustibile irraggiato. Il loro smaltimento avviene principalmente in formazioni geologiche e, nel periodo precedente, sono immagazzinati in idonee strutture (impianto di immagazzinamento di lunga durata).

Ad oggi, le scorie radioattive prodotte in Italia, sono pari a circa 90 mila metri cubi e derivano da diverse tipologia di stoccaggio. Di queste, una parte sono detenute in impianti gestiti dalla SOGIN.

A questi si aggiungono:

  • i rifiuti radioattivi che verranno prodotti con lo smantellamento degli impianti nucleari ancora in corso;
  • i rifiuti che rientreranno in Italia nel 2025 dagli impianti inglesi e francesi dove, fino ad oggi, è stato inviato il combustibile nucleare irraggiato utilizzato nelle centrali ora spente, per essere sottoposto alle operazioni di riprocessamento;
  • i rifiuti che continueranno a prodursi negli impieghi medici, industriali e di ricerca, che ammontano ad alcune centinaia di metri cubi all’anno.

In vista del ritorno dei rifiuti stoccati all’estero, si sta predisponendo un piano per la loro gestione e un deposito nazionale. Questo deposito ospiterà solo una parte dei rifiuti che rientreranno, pari a 75mila metri cubi.

Il deposito nazionale di superficie ospiterà anche un complesso per lo stoccaggio temporaneo di lungo periodo dove verranno collocati i rifiuti più pericolosi, in attesa di un’altra soluzione.

La parte restante dei rifiuti radioattivi, principalmente scorie a media e alta intensità, dovrà essere smaltita in un apposito deposito geologico di profondità previsto appositamente. Ad oggi, le criticità maggiori riguardano l’individuazione dei siti e i tempi per la loro realizzazione (decine di anni).

Irene de Paolis