La disciplina dei Siti di Interesse Nazionale. Il caso di “Bussi sul Tirino”

Attraverso un’attività di ricerca condotta in questi mesi, ho esaminato a fondo il concetto e la definizione dei Siti di Interesse Nazionale (SIN).

In Italia, una prima definizione di SIN si è avuta grazie all’entrata in vigore del Codice dell’Ambiente (D.Lgs. n. 152/2006) in cui si stabilisce che la bonifica dei Siti si basa sulle loro caratteristiche nonché su 1) la quantità e pericolosità degli inquinanti, 2) l’impatto sull’ambiente circostante, 3) il rischio sanitario ed ecologico e 4) il pregiudizio per i beni culturali e ambientali (art. 252). Oggi i SIN sono delle aree che rivestono un’importanza cruciale per la tutela ambientale e la salvaguardia della salute pubblica.

Da un punto di vista procedurale, i siti di interesse nazionale sono identificati tramite decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, in collaborazione con le regioni.

In questo articolo mi propongo di analizzare i SIN alla luce del quadro giuridico europeo e nazionale, partendo, però, da un caso specifico: il Sito di interesse nazionale di Bussi sul Tirino.

Bussi sul Tirino è un piccolo comune abruzzese in provincia di Pescara con una popolazione di poco più di duemila persone. È al confine tra il Parco nazionale del Gran Sasso e il Parco nazionale della Majella. Il paese è attraversato dal Tirino, uno dei fiumi più limpidi d’Italia, che dopo pochi chilometri confluisce nel fiume Pescara. Proprio alla confluenza tra il Tirino e il Pescara, sorge la frazione Bussi Officine, il polo industriale, noto soprattutto per l’industria chimica.

Il polo di Bussi nasce nei primissimi anni del 1900 e, nel corso di oltre un secolo di storia, si è occupato della lavorazione di innumerevoli sostanze chimiche, quali, cloro, alluminio, ferro-silicio, piombo, ma, anche, di sostante esplosive con finalità militari. L’azienda che ha gestito il settore chimico di Bussi è stata la Montecatini che, nel corso degli anni, è poi divenuta Montedison e Edison. Infine, nel 2002, la multinazionale Solvay ha acquisito la proprietà del colosso chimico.

Da un punto di vista ambientale, negli anni si è diffuso il sospetto che molte sostanze pericolose utilizzate all’interno del sito fossero riversate nei fiumi. Si ricordi che, negli anni ’80, Montedison ottenne dalla Regione Abruzzo l’autorizzazione a depositare i rifiuti nei terreni che si trovavano poco a monte delle fabbriche. Siti, questi, che divennero noti come le discariche 2A e 2B.

I sospetti sono diventati realtà nel 2007, quando le indagini, condotte dalla Procura di Pescara insieme al Corpo Forestale, portano alla luce un’enorme quantità di rifiuti industriali interrati. Il terreno utilizzato come discarica risultava essere di proprietà dell’azienda Edison ed era situato poco a valle rispetto all’industria, proprio alla confluenza tra i due fiumi. È quella che verrà ricordata come la discarica abusiva di Tre Monti, definita “la più grande d’Europa”. La discarica conteneva, infatti, circa 130mila metri cubi di rifiuti in 35mila metri quadrati.

Le analisi effettuate su terreni, sottosuolo, falde e acque dei fiumi mostrarono valori superiori alla norma per molte sostanze pericolose, in particolare, per arsenico, piombo e mercurio.

Lo Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento (Studio Sentieri – 2007) realizzato nei comuni interessati nell’ambito del Programma strategico nazionale “Ambiente e salute”, e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, evidenziò la contaminazione degli ecosistemi e l’aumento dei decessi legati a patologie dell’apparato respiratorio e digerente oltre che un numero di ricoveri superiore alla media regionale.

Il percorso di bonifica del Sito, avviato già nel 2001, qualche anno prima della scoperta della discarica, si è realizzato attraverso tre fasi distinte. Ciascuna delle quali è stata supervisionata da un soggetto diverso. Inizialmente, è stato il Comune di Bussi a guidare il processo (2001-2007), successivamente, con un’ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri (n. 3614 del 4 ottobre 2007) la responsabilità è passata alla regione Abruzzo (2007). Infine, dal 2008, è il Ministero dell’Ambiente che ha assunto la supervisione delle operazioni.

Il sito di Bussi e la sua gestione commissariale hanno beneficiato nel corso del tempo di norme speciali introdotte con lo scopo di assicurare al commissario risorse economiche e fondi ad hoc. Tali assegnazioni servivano a finanziare gli interventi di bonifica del SIN Bussi sul Tirino che erano stati previamente individuati in base a un accordo di programma.

Il contesto normativo nel quale tali misure sono state adottate è l’art. 252-bis del Codice dell’Ambiente con cui si dispone la possibilità, appunto, di stipulare accordi di programma con uno o più proprietari di aree contaminate (o altri soggetti) al fine di attuare progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica nonché di riconversione industriale e sviluppo economico di Siti di interesse nazionale.

Con la Legge di Stabilità del 2016, sono stati implementati gli interventi di bonifica e messa in sicurezza del sito. A tale fine, il Commissario delegato è stato autorizzato a sfruttare le risorse finanziarie rimaste giacenti e a riqualificare il Sito di interesse nazionale a Bussi sul Tirino. Tuttavia, la vicenda arriva fino ai giorni nostri. È solo nel gennaio del 2024, infatti, che il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica ha firmato il decreto direttoriale e il relativo contratto che rende esecutivo l’accordo con l’Associazione temporanea d’imprese (ATI), aggiudicataria delle opere di bonifica e messa in sicurezza. Il SIN di Bussi sul Tirino può finalmente, si spera, essere bonificato.

In conclusione, è possibile affermare che la gestione dei Siti di Interesse Nazionale richiede un impegno collettivo, che abbracci non solo l’aspetto normativo, ma anche la partecipazione attiva delle comunità locali, degli esperti ambientali e delle autorità pubbliche.

In questo senso, particolare rilievo assume la Proposta di Direttiva per il monitoraggio e la resilienza del suolo, nota come Soil Monitoring Law, il cui processo di adozione è attualmente in corso. L’obiettivo è quello di garantire suoli sani in tutta l’Unione Europea entro il 2050.

Solo attraverso una cooperazione sinergica potremo garantire un futuro a queste aree che rivestono un’importanza cruciale per il nostro patrimonio e per la salute delle generazioni future.

Federica Di Renzo