Obiettivo 2030, obiettivo 2050, contestualizziamo.
Come siamo arrivati alla definizione di questi obiettivi?
I meriti sono da riconoscere, a livello internazionale, all’Accordo di Parigi sul clima e, a livello europeo, al Green Deal.
L’Accordo di Parigi si è posto l’ambizioso obiettivo di mantenere l’aumento della temperatura media al di sotto dei 2°C e quanto più possibile vicino ai 1.5°C rispetto ai livelli preindustriali.
Lo stesso Accordo ha obbligato gli Stati parte a presentare un piano d’azione nazionale volontario per raggiungere l’obiettivo prefissato e ad aggiornarlo ogni 5 anni.
Il Green Deal, che si inserisce nel contesto della lotta ai cambiamenti climatici, proprio alla luce dei target dell’Accordo di Parigi ha previsto come obiettivo a breve termine (entro il 2030) la riduzione delle emissioni di almeno il 55% rispetto al 1990 e, come obiettivo di lungo termine (entro il 2050), di diventare un’economia a emissioni nette zero, sostenibile e resiliente. A livello europeo, si è sottolineato come l’obiettivo della transizione verso la neutralità climatica offrisse anche opportunità significative in termini di crescita economica, mercati e posti di lavoro e sviluppo tecnologico.
L’obiettivo fissato dal Green Deal di attuare una transizione verso la Carbon Neutrality è divenuto vincolante per gli Stati membri dell’UE grazie al Regolamento 2021/1119 adottato il 30 giugno 2021(Normativa europea sul clima). Gli Stati sono quindi obbligati a orientare le proprie scelte politiche ed economiche, attraverso investimenti adeguati per assicurare una transizione efficiente, nonché ad adottare le misure necessarie per consentire il conseguimento dell’obiettivo della neutralità climatica.
Proprio alla luce di tali obiettivi, in occasione della COP 26 della Convenzione sui cambiamenti climatici (Glasgow 2021), l’UE ha incoraggiato gli altri paesi a intensificare i propri impegni e le proprie azioni in materia di riduzione delle emissioni e ad aumentare gli sforzi di adattamento per far sì che i target dell’Accordo di Parigi fossero raggiungibili.
In vista della stessa COP26, ha preso avvio la campagna ‘Race to Zero’. Questa campagna, sostenuta dalle Nazioni Unite, riunisce attori non statali (aziende, istituzioni finanziarie, etc.) e ha come scopo quello di ridurre le emissioni in tutti gli ambiti in modo rapido ed equo attraverso l’adozione di piani d’azione a breve termine nonché quello di favorire il passaggio ad un’economia decarbonizzata (Net Zero). La ‘neutralità carbonica’ rappresenta l’equilibrio tra le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera e la loro compensazione o assorbimento durante un determinato periodo di tempo. Questo stato di ‘neutralità’ viene raggiunto attraverso un processo di compensazione e riduzione delle emissioni di biossido di carbonio, senza necessariamente eliminarle del tutto. Il fine è quello di stabilizzare gli effetti del cambiamento climatico e di fare in modo che la situazione non peggiori ulteriormente.
Ma come possiamo raggiungere la neutralità climatica? A livello generale è possibile individuare due approcci: la compensazione tramite i “crediti di CO2” e la riduzione dei consumi.
I crediti di CO2 sono dei certificati che quantificano il totale delle tonnellate di emissioni di gas a effetto serra evitate o ridotte da un’azienda attraverso i progetto di tutela ambientale realizzati. Il credito di carbonio viene generato tramite la realizzazione di un progetto di sviluppo con certificazione da parte di un Ente di terza parte, poi scambiato e successivamente annullato su un registro pubblico per compensare l’emissione di una tonnellata di anidride carbonica equivalente. I crediti di CO2 vengono a) rilasciati da enti appositamente istituiti (in Italia il Carbonsink e a livello internazionale la United Nations Carbon Offset Platform) e b) scambiati tra imprese più e meno virtuose in materia ambientale, in una sorta di borsa internazionale del carbonio. In termini generali, i progetti che possono garantire il rilascio di crediti di carbonio possono mirare a ridurre o prevenire le emissioni di gas serra (carbon avoidance) o avere come obiettivo quello di rimuovere e “sequestrare” la CO2 presente in atmosfera (carbon removal).
Per quanto riguarda la riduzione dei consumi si fa riferimento all’efficientamento dei processi che si raggiunge con l’adozione di processi o prodotti industriali più efficienti in grado di produrre minori quantità di gas a effetto serra. Ciò include la sostituzione dell’energia fossile con fonti energetiche ‘pulite’ come l’energia idroelettrica, eolica, geotermica e solare.
Net carbon Zero: rappresenta lo stadio successivo alla carbon neutrality e mira all’azzeramento completo delle emissioni di CO2 lungo l’intera catena di approvvigionamento, sia a livello internazionale che a livello nazionale.
È importante notare che questo termine viene sempre più associato a quello di ‘Net Zero’ e considerato come un suo sinonimo. Tuttavia, occorre ricordare che mentre il ‘Net Carbon Zero’ si riferisce specificatamente al carbonio, il ‘Net zero’, in termini più ampi, include tutte le diverse tipologie di emissioni, incluse quelle di ossido di azoto e di metano.
A questo punto, è lecito chiedersi, come può una azienda adottare strategie climatiche per raggiungere questi obiettivi?
Per prima cosa, ogni azienda dovrebbe calcolare il totale delle emissioni associate direttamente e/o indirettamente all’azienda stessa o ad un suo prodotto (Carbon footprint). Conoscendo il proprio impatto, l’azienda dovrebbe definire le proprie strategie di adattamento (impatto che il cambiamento climatico ha su di essa) e mitigazione (impatto che le attività aziendali hanno sul clima). Il passo successivo è quello di definire il target di riduzione, il processo attraverso cui raggiungerlo e il tempo previsto. Nell’attuazione del proprio obiettivo potrà far ricorso, come detto in precedenza, ai certificati di qualità o a progetti specifici di riforestazione e/o pratiche agricole rigenerative, oppure a misure di efficientamento energetico anche attraverso il coinvolgimento di tutta la supply chain.
Per concludere, all’azienda non resterà che servirsi di strumenti per la valutazione delle conformità ambientali. Uno strumento utile è rappresentato dall’insieme di standard ambientali, tutti correlati alla norma ISO 14064. Le norme adottate, tecnicamente sono tre ma dato che le successive sono state sviluppate sulla base della prima, potremmo considerarle come parti.
La norma ISO 14064 si compone di tre parti. La prima parte ha ad oggetto lo sviluppo e la progettazione di inventari delle emissioni prodotte dalle aziende e mira ad individuare i criteri per quantificarle, monitorarle e rendicontarle. La seconda parte, invece, riguarda i progetti di rimozione e riduzione dei gas ad effetto serra. Infine la terza ha come scopo quello di definire il processo di validazione e verifica delle emissioni.
Last but not least, solo le imprese che decidono volontariamente di sottoporsi alle verifiche degli inventari, affidandosi ad organismi accreditati, possono ottenere un riconoscimento internazionale e, in questo modo, vedere le loro dichiarazioni accettate nel mercato globale.
Melania d’Aloisio