Negli ultimi anni, le crisi ambientali sono diventate sempre più frequenti e gravi, spesso peggiorate da politiche governative che favoriscono attività dannose per l’ecosistema invece di contrastarle. In molti casi, gli Stati non solo non applicano in modo rigoroso le normative ambientali, ma incentivano pratiche industriali inquinanti, mettendo a rischio la salute pubblica e la biodiversità.
Uno degli strumenti più importanti a disposizione dei cittadini e delle ONG è il diritto di portare in tribunale i casi ambientali, riconosciuto da diverse norme sia a livello internazionale che europeo. Tra gli atti più importanti vi è la Convenzione di Aarhus (1998) che garantisce a tutti i cittadini l’accesso alle informazioni ambientali, la partecipazione pubblica ai processi decisionali e il diritto di ricorrere alla giustizia contro decisioni che violano la normativa ambientale.
A livello europeo, si ricorda il Regolamento (UE) 2021/1767, noto come Regolamento Aarhus, che ha ampliato le possibilità di ricorso contro le decisioni delle istituzioni UE che non rispettano la legislazione ambientale.
Accanto alla Convenzione di Aarhus e al Regolamento europeo che ne ha rafforzato l’attuazione, esistono diverse direttive dell’Unione Europea che permettono ai cittadini e alle organizzazioni di intervenire concretamente contro decisioni che mettono a rischio l’ambiente.
Una delle più importanti è la Direttiva 2011/92/UE, modificata dalla Direttiva 2014/52/UE, che disciplina la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Questa normativa garantisce il diritto dei cittadini a essere informati e coinvolti nei procedimenti che riguardano opere e progetti potenzialmente dannosi, offrendo la possibilità di impugnare autorizzazioni concesse in violazione delle regole ambientali.
In parallelo, occorre ricordare anche la Direttiva 2001/42/CE sulla Valutazione Ambientale Strategica (VAS) che si applica ai piani e ai programmi, come quelli urbanistici o di sviluppo energetico, e che impone una valutazione preventiva degli impatti ambientali. Se questa valutazione viene omessa o condotta in modo inadeguato, cittadini e associazioni possono far valere le proprie ragioni anche in sede giudiziaria.
Sul fronte industriale, la Direttiva 2010/75/UE sulle Emissioni Industriali stabilisce regole rigorose per il rilascio delle autorizzazioni ambientali alle attività produttive. In particolare, obbliga le imprese ad adottare le migliori tecniche disponibili per contenere l’inquinamento e consente di contestare legalmente quelle autorizzazioni che non rispettano questi standard.
La Direttiva 2004/35/CE sulla Responsabilità Ambientale introduce il principio secondo cui “chi inquina paga”: se viene causato un danno grave a suolo, acque o biodiversità, è possibile chiedere l’intervento delle autorità per imporre ai responsabili il risanamento delle aree colpite.
Negli ultimi anni, l’Unione ha rafforzato anche la protezione della salute pubblica. La Direttiva (UE) 2024/2881, adottata il 23 ottobre 2024, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, introduce standards più rigorosi per la qualità dell’aria, puntando a un inquinamento zero entro il 2050, stabilendo nuovi limiti per gli inquinanti atmosferici, obbligando gli Stati membri a sviluppare piani d’azione per migliorare la qualità dell’aria.
Infine, la Direttiva (UE) 2024/3019, entrata in vigore il 1° gennaio 2025, stabilisce norme sulla raccolta, sul trattamento e sullo scarico delle acque reflue urbane, allo scopo di proteggere l’ambiente e la salute umana. La direttiva introduce obblighi di trattamento avanzato, incrementa il numero di inquinanti da monitorare e promuove il riutilizzo delle acque reflue urbane. Gli Stati membri dovranno recepire la direttiva entro il 31 luglio 2027.
In questo scenario, ClientEarth si è fatta notare come una delle realtà più attive e influenti nella difesa dell’ambiente. Si tratta di un gruppo indipendente di avvocati e esperti legali che usa il diritto per proteggere il clima e la natura. Presente sia in Europa che a livello internazionale, ClientEarth ha unito competenze legali e impegno civile, portando in tribunale progetti industriali dannosi e spingendo affinché le regole ambientali vengano rispettate, spesso muovendosi prima ancora delle istituzioni nel chiedere conto a Stati e aziende delle loro responsabilità.
Un caso molto significativo è quello che ha riguardato il Progetto “Project One” di INEOS, destinato a diventare il più grande impianto di produzione di plastica in Europa. L’iniziativa, prevista nel porto di Anversa, è finita al centro di un contenzioso guidato da ClientEarth insieme ad altre tredici ONG. Nel 2023, il tribunale belga ha annullato il permesso ambientale, bloccando temporaneamente il progetto. Tuttavia, le autorità fiamminghe hanno rilasciato una nuova autorizzazione nel 2024, contro la quale ClientEarth ha nuovamente fatto ricorso, denunciando l’inadeguatezza della valutazione di impatto ambientale e i rischi legati alla crisi climatica. Le organizzazioni contestano che lo studio ambientale non consideri adeguatamente gli effetti cumulativi del progetto né i suoi impatti a lungo termine sul clima e sull’ambiente. A ciò si aggiunge la forte dipendenza della produzione di plastica dai combustibili fossili, in particolare dall’etano derivato dal gas, che comporta un rilevante contributo alle emissioni di gas serra. Le ONG hanno inoltre denunciato l’incompatibilità di un’infrastruttura industriale di tali dimensioni con gli obiettivi europei di riduzione della plastica monouso e promozione dell’economia circolare, oltre a sottolineare la violazione del principio di precauzione e di importanti norme dell’acquis ambientale dell’Unione Europea. È significativo, in questo senso, che il contenzioso si fondi non solo sugli impatti locali del progetto, ma sulla sua più ampia impronta climatica e sul contributo alle emissioni complessive, segnando una svolta nel modo in cui si interpretano le valutazioni di impatto. Il caso INEOS evidenzia anche la vulnerabilità dei processi autorizzativi rispetto alle pressioni economiche e politiche, ma al contempo il potere del controllo giudiziario e della partecipazione pubblica come strumenti fondamentali per garantire coerenza tra le politiche industriali e gli obiettivi ambientali dell’Unione. In questo senso, rappresenta un precedente rilevante nel diritto ambientale europeo, dimostrando che le autorizzazioni ambientali non sono meri atti amministrativi, ma veri e propri strumenti di politica climatica.
Un altro precedente fondamentale risale al 2019, quando ClientEarth ottenne una storica vittoria contro la centrale a carbone Ostrołęka C, in Polonia. Il progetto prevedeva la costruzione di un nuovo impianto a carbone da 1.000 MW, promosso da due aziende energetiche statali, e rappresentava uno degli ultimi tentativi in Europa di investire in grandi infrastrutture legate al carbone. ClientEarth ha denunciato i gravi rischi economici e ambientali legati all’opera, sostenendo che investire in una nuova centrale fossile fosse insostenibile non solo dal punto di vista climatico, ma anche finanziario, alla luce del rapido cambiamento dei mercati energetici e delle politiche europee di decarbonizzazione. Il tribunale ha riconosciuto la validità di queste argomentazioni, portando nel 2020 alla cancellazione definitiva del progetto. Questa decisione ha avuto un forte valore simbolico e pratico: ha segnato una battuta d’arresto significativa alla dipendenza dal carbone in Europa orientale e ha mostrato come le preoccupazioni climatiche possano incidere direttamente sulle scelte di investimento delle imprese pubbliche.
Anche in Italia, ClientEarth ha lasciato il segno. Nel 2024, è riuscita a fermare, insieme ad altre organizzazioni come Legambiente, WWF e Greenpeace, il progetto “Teodorico”, che prevedeva la realizzazione di una piattaforma offshore per l’estrazione di gas naturale nel Mar Adriatico, al largo del delta del Po. Si trattava del più grande progetto di estrazione gasiera previsto in Italia negli ultimi anni, con l’obiettivo dichiarato di incrementare la produzione nazionale di gas. Tuttavia, il progetto è stato duramente contestato per l’incompatibilità con gli obiettivi di tutela della biodiversità marina in un’area particolarmente delicata dal punto di vista ecologico, e per il suo contrasto con le strategie di decarbonizzazione e uscita dai combustibili fossili promosse dall’Unione Europea. Il tribunale ha annullato l’approvazione dell’opera, riconoscendo che essa violava il principio di coerenza con le politiche ambientali e climatiche nazionali e internazionali. La vicenda ha rafforzato il principio secondo cui le nuove infrastrutture energetiche devono essere valutate anche alla luce del loro impatto sistemico sul clima e sugli ecosistemi, confermando il ruolo decisivo della giustizia ambientale nella transizione ecologica.
di Doina Toma