La seconda Conferenza delle Nazioni Unite sull’oceano, tenutesi a Lisbona dal 27 giungo al 1 luglio del 2022, è stata una vera e propria occasione per evidenziare non solo le criticità legate allo stato di salute dell’oceano, ma soprattutto per sottolineare la necessità di adottare delle azioni innovative e basate sulla scienza a garanzia di una gestione sostenibile dell’ecosistema marino.
L’evento ha visto la presenza di oltre 6000 partecipanti, tra cui 24 capi di Stato e di governo e più di 2.000 rappresentanti della società civile chiamati tutti a trovare soluzioni sostenibili volte a promuovere la conservazione, la protezione e l’uso responsabile delle risorse marine, così come stabilito dall’obiettivo 14 dell’Agenda 2030.
Ad aprire la Conferenza è stato il Segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), António Guterres, il quale ponendo l’attenzione sulle importanti funzioni assolte dall’oceano, ha messo in luce come quest’ultimo rappresenti un attore chiave con cui far fronte alle 3 grandi crisi planetarie, quali: il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e l’inquinamento. Infatti, l’oceano oltre a vantare di un’immensa biodiversità marina, risulta essere anche la principale fonte di ossigeno ed è in grado di assorbire circa un quarto delle emissioni di anidride carbonica. In tal senso, esso rappresenta sia un regolatore primario del clima globale che una risorsa di sostentamento per la vita marina e per quella dell’essere umano.
L’importanza, così rivestita dall’oceano, ha delineato, ancor di più, il dovere di mettere in pratica delle azioni con cui poter contrastare le molteplici problematiche rispetto a cui gli habitat marini sono ormai sottoposti.
Tra le principali sfide enunciate sono emerse: l’erosione costiera, l’innalzamento del livello del mare, le acque più calde e acide, l’aumento dell’inquinamento marino, lo sfruttamento eccessivo degli stock ittici e la diminuzione della biodiversità marina.
È stata, proprio, sulla base di queste considerazioni che la Conferenza ha potuto registrare quasi 700 impegni volontari che si sono aggiunti a quelli assunti alla Conferenza oceanica delle Nazioni Unite del 2017. Basti pensare alla dichiarazione compiuta dal Portogallo circa il suo impegno a garantire che il 100% dell’area marina sotto la sovranità o giurisdizione portoghese sia valutato come in buono stato ambientale e a classificare il 30% delle aree marine nazionali entro il 2030.
Per quanto riguarda, invece, l’Unione Europea, rappresentata dal commissario per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, Virginijus Sinkevičius, sono stati ben 52 gli impegni volontari assunti (per un valore fino a 7 miliardi di €) rientrando, pertanto, negli obiettivi perseguiti dall’agenda dell’UE sulla governance internazionale degli oceani, recentemente aggiornata.
Un risultato, però, rilevante della Conferenza è stato rappresentato dall’adozione all’unanimità della dichiarazione, intitolata “Our ocean, our future, our responsibility”, con la quale i paesi hanno ufficialmente riconosciuto l’importanza di salvaguardare gli oceani. Un documento con il quale i paesi hanno evidenziato la centralità di tematiche, come:
- il ruolo svolto dalla scienza e dall’innovazione nella delineazione delle soluzioni con le quali promuovere uno sviluppo sostenibile;
- il rafforzamento delle attività di osservazione e raccolta dati;
- il riconoscimento del ruolo delle popolazioni indigene nella condivisione di innovazione e pratiche;
- la riduzione delle emissioni di gas serra derivanti dal trasporto marittimo internazionale;
- la necessità di stabilire delle partnership efficaci.
Seppur a carattere non vincolante, appaiono notevoli i traguardi raggiunti dalla conferenza che hanno consentito di porre l’attenzione sull’esigenza di implementare attività che tengano conto delle evidenze scientifiche e che, al contempo, sappiano sfruttare l’innovazione tecnologica.
Sofia Pavlidi