La 15° Conferenza delle Nazioni Unite della Convenzione quadro sulla biodiversità era originariamente prevista per il 15-28 ottobre 2020 a Kunming, in Cina, ma è stata rinviata più volte a causa della pandemia di COVID-19. Nell’agosto 2021, il Segretariato della CBD ha annunciato che la COP 5 si sarebbe tenuta in due parti. La prima, in formato virtuale, dal 11 al 15 ottobre 2021 e, la seconda, in presenza. Tuttavia, a causa delle continue restrizioni dovute al Covid-19 da parte della Cina, dopo alcuni cambi di data, si è deciso di spostare la seconda parte presso la sede del Segretariato della CBD a Montreal, in Canada (la Cina ha comunque mantenuto la presidenza della COP) dove si è svolta dal 7 al 19 dicembre 2022.
Uno dei principali obiettivi della COP era l’adozione di un quadro globale sulla biodiversità per il periodo post-2020 (Accordo Kunming-Montreal – Global Biodiversity Framework). L’Accordo raggiunto è composto da 4 macro obiettivi e da 23 target specifici. L’obiettivo generale è quello di arrestare e invertire la perdita di biodiversità entro il 2030.
Non sono mancati, a livello internazionale, coloro che hanno paragonato la portata di tale Accordo a quello stipulato a Parigi per il clima.
Occorre ricordare che in occasione della COP10 (2010) tenutasi a Nagoya, in Giappone, erano stati adottati degli obiettivi decennali sulla biodiversità (Aichi Biodiversity Targets) e che nessuno degli obiettivi è stato pienamente raggiunto entro la scadenza del 2020
Risultati della COP15:
1. Ripristino del 30% degli ecosistemi degradati nonché la conservazione e protezione della stessa quota delle aree terrestri e marittime entro il 2030 (30×30). Attualmente, solamente il 17% delle aree terrestri e l’8% delle aree marine sono protette. Indubbiamente è un aumento significativo quello deciso a Montreal, anche se secondo alcuni gruppi l’obiettivo doveva essere ancora più ambizioso e prevedere la protezione del 50% di tutta la biodiversità esistente.
2. Finanziamenti. Si è deciso di stanziare 200 miliardi di dollari all’anno da destinare a iniziative di conservazione della biodiversità. Per quanto riguarda i finanziamenti nei confronti degli Stati più vulnerabili, l’accordo raggiunto prevede che gli Stati più ricchi versino 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2025 fino ad arrivare a 30 miliardi entro il 2030 (la richiesta dei paesi più poveri era di 100 miliardi l’anno).
3. Pesticidi. Si è prevista la riduzione del 50% dei rischi potenziali derivanti dall’uso di pesticidi.
4. Specie esotiche. Eliminare ridurre e/o mitigare gli impatti delle specie esotiche sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici. Ridurre i tassi di introduzione e insediamento di altre specie esotiche invasive di almeno il 50 per cento entro il 2030.
5. Mondo delle imprese. L’Accordo prevede l’impegno da parte delle imprese a divulgare regolarmente gli impatti sulla biodiversità che hanno le loro attività (a) e fornire le informazioni necessarie ai consumatori per promuovere modelli di consumo sostenibili (b).
6. sistema di monitoraggio. Al fine di evitare di ripetere gli errori commessi in passato, gli Stati parte hanno previsto un sistema di monitoraggio che in linea teorica dovrebbe garantire di valutare regolarmente i progressi raggiunti. L’Accordo, infatti, pur non essendo legalmente vincolante, spinge gli Stati parte ad adottare dei piani nazionali per la biodiversità al fine di mostrare i loro progressi nel raggiungere gli obiettivi ivi previsti. Il meccanismo verrà ulteriormente definito in occasione della COP16 che si terrà in Turchia nel 2024.
In termini generali, occorre rilevare come l’Accordo appare di difficile realizzazione a causa degli impegni eccessivamente ampi adottati.
Andrea Crescenzi