Le popolazioni indigene dell’America Latina sono state storicamente marginalizzate e discriminate. La colonizzazione spagnola nel XVI secolo ha segnato l’inizio di un lungo periodo di sfruttamento e oppressione delle popolazioni indigene, in cui le terre ancestrali delle popolazioni sono state spesso espropriate a vantaggio di colonizzatori, proprietari terrieri e grandi imprese.
Sono state spesso soggette a politiche di assimilazione culturale che hanno cercato di eradicare le loro lingue, tradizioni e pratiche culturali tradizionali.
Inoltre, l’espansione dell’agricoltura, dell’estrazione mineraria, del petrolio e di altre industrie ha avuto un impatto devastante sulle terre e i territori indigeni, portando a deforestazione, perdita di biodiversità e distruzione delle risorse naturali vitali per le comunità.
Recentemente, il rapporto Il mondo sotterraneo dell’Amazzonia (2023), adottato da Amazon Underworld e Global Initiative Against Transnational Organized Crime, ha evidenziato un nuovo problema che grava sul territorio amazzonico: l’aumento della criminalità organizzata. Quest’ultima responsabile della produzione di coca, l’estrazione mineraria illegale e il disboscamento illegale. Tali attività contribuiscono alla deforestazione e al degrado ambientale e alla distruzione degli ecosistemi da cui le comunità indigene dipendono.
Per un lungo tempo la “questione indigeni” è stata scarsamente considerata nell’ambito dell’agenda della Comunità internazionale. La prima organizzazione ad interessarsi del tema è stata l’Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL), che dal 1950, è stata incaricata dalle Nazioni Unite di coordinare gli sforzi riguardanti i diritti delle popolazioni indigene.
Nel 1953, la commissione dell’OIL ha iniziato la preparazione di una Convenzione Internazionale sugli indigeni, che è stata poi adottata nel 1957, considerata il primo utile passo per il riconoscimento dei diritti degli indigeni.
La Convenzione sopracitata è nota come Convenzione n. 107 ed è costituita da 37 articoli che affrontano, oltre alle disposizioni generali, sette questioni fondamentali: politica generale, la questione delle terre, contratti e condizioni di lavoro, formazione professionale, artigianato e industrie rurali, sicurezza sociale e sanità, educazione e mezzi di informazione ed amministrazione.
Un’altra importante Convenzione è la n.169 dell’OIL, adottata il 27 giugno 1989 ed entrata in vigore il 5 settembre 1991.
Il primo e fondamentale principio della Convenzione n.169 è il diritto alla non-discriminazione: la Convenzione stabilisce che i popoli indigeni hanno il diritto di godere pienamente dei diritti umani e delle libertà fondamentali senza alcuna discriminazione e affida ai governi il compito di sviluppare un’azione coordinata e sistematica finalizzata alla tutela dei diritti di questi popoli ed alla garanzia del rispetto della loro integrità.
Attualmente però, solo 23 Stati membri dell’OIL hanno ratificato la Convenzione n. 169, dunque solo il 15% circa delle popolazioni indigene in tutto il mondo sono protette dalla Convenzione.
Un ulteriore elemento fondamentale nella tutela delle popolazioni indigene è la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni (UNDRIP), adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 13 settembre del 2007, composta da 19 paragrafi introduttivi e 46 articoli.
Viene riconosciuto ai popoli indigeni il diritto all’autodeterminazione, secondo cui i popoli indigeni hanno il diritto di determinare liberamente il proprio statuto politico e perseguire liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale (art. 3). Con l’art.13 viene loro riconosciuto il diritto a conservare e tramandare la propria lingua, cultura e tradizioni.
E’ presente anche il riferimento al diritto di scegliere le cure più idonee tramite l’accesso alla medicina tradizionale che comporta anche la tutela della biodiversità delle specie vegetali presenti sui territori indigeni (art.24). A questo proposito viene ricordata l’importanza dell’ambiente naturale per i popoli indigeni della Terra (art.25-29).
E’ necessario evidenziare lo stretto legame che esiste tra tutela dei diritti degli indigeni e tutela dell’ambiente.
Difatti, gli indigeni sono stati definiti come i “custodi della Terra”, questo perché le zone del mondo da loro abitate rappresentano il 22% della superficie terrestre e ospitano l’80% della biodiversità presente nel nostro pianeta.
Dunque, tutelare i diritti delle popolazioni indigene, in particolare quelli legati ai diritti collettivi legati alla terra, ai territori e alle risorse, non riguarda solo il loro benessere ma rappresenta la chiave per affrontare le sfide globali più urgenti, come la protezione della biodiversità e la lotta contro il cambiamento climatico.
Tuttavia, il rapporto“State of the world’s indigenous people”, pubblicato dal Dipartimento per gli affari economici e sociali (Un Desa) riporta come in molte parti del mondo viene continuamente negata alle popolazioni indigene la possibilità di risiedere nei loro territori ancestrali e i loro diritti spesso non vengono rispettati, a causa degli interessi economici legati allo sfruttamento delle loro terre.
Luoghi in cui gli attivisti che si battono per riconoscimento dei diritti degli indigeni vengono criminalizzati e perseguiti.
Dunque, risulta ancora lunga la strada per ottenere una protezione di queste popolazioni e forse giungerà quando verranno posti in secondo piano gli interessi economici nazionali e internazionali.
Camilla Di Bari