Nel corso dell’ultimo secolo, il nostro pianeta ha affrontato sfide senza precedenti legate all’agricoltura e all’alimentazione, a causa di una crescente popolazione mondiale e dell’impatto preoccupante dell’industria alimentare sulla salute umana e sull’ambiente. È in questo contesto che la carne coltivata si presenta come una soluzione innovativa e promettente per affrontare le complesse questioni legate alla produzione e al consumo di carne.
La carne coltivata è una nuova tecnologia, ancora in fase di sperimentazione, in grado di far crescere del tessuto muscolare a partire dalla coltura di cellule animali, senza quindi dover ricorrere alla macellazione e all’allevamento intensivo di bestiame. Negli ultimi anni ha attirato sempre più l’attenzione nel panorama alimentare e non solo, a causa delle sue caratteristiche e dell’evoluzione tecnologica da cui è derivata, sollevando però, allo stesso tempo, numerosi quesiti. Tuttavia, il successo della carne coltivata non dipende solo dalla sua innovazione scientifica, ma anche dalla sua accettazione sociale. Il tema è, quindi, diventato un tema altamente sensibile. Ma come spesso accade quando la ricerca scientifica e il progresso biotecnologico sollevano questioni in ambito giuridico, sociale ed etico, il dibattito sulla carne coltivata, anziché essere volto ad aumentare la conoscenza delle persone e a rendere le eventuali future scelte alimentari consapevoli, si limita spesso a pubblicizzare dei meri slogan e ad evocare immagini che ad oggi non rappresentano la realtà del problema.
La terminologia dei mezzi di comunicazione spesso è molto lontana dalla terminologia utilizzata dalla scienza e il caso della carne sintetica non fa eccezione, anzi. Se si utilizza il termine “sintetico” affiancato ad un cibo pare evidente che non si stia utilizzando un termine neutro. Al contrario del termine “coltivato” che rimanda a qualcosa di naturale, il termine “sintetico” rimanda a qualcosa di innaturale, che difficilmente può essere associato a un cibo. Chi sarebbe interessato a mangiare del cibo sintetico?
Si è messo in evidenza come i termini “carne artificiale” e “carne sintetica” generano confusione e non aiutano le persone a comprendere di cosa si stia parlando. Usare una terminologia non corretta, quindi, contribuisce non solo a creare confusione e cattiva informazione, ma impedisce di fatto la piena libertà di scelta, che può essere effettuata solamente quando l’informazione disponibile è chiara, semplice e completa.
La sostenibilità ambientale e il cambiamento climatico sono argomenti molto dibattuti. Ma in che modo la carne sintetica è legata a queste tematiche?
Negli ultimi anni, le emissioni di gas serra degli allevamenti intensivi rappresentano il 17% delle emissioni totali dell’Ue. Tra i principali gas emessi da questo comparto vi sono: il metano, il protossido di azoto e l’ammoniaca. I metodi di produzione intensivi di carne, quindi, contribuiscono negativamente all’impatto ambientale e sono in parte responsabili dell’inquinamento dell’aria e dell’aumento della temperatura terrestre. Tuttavia, le emissioni non sono l’unico problema causato dagli allevamenti tradizionali. Infatti, l’allevamento di bestiame necessita di grandi porzioni di terra. Se si includono sia i terreni dedicati all’alimentazione degli animali che i terreni utilizzati per l’allevamento vero e proprio, la produzione zootecnica occupa circa un terzo del suolo terrestre. Inoltre, l’allevamento ricopre ben il 70 % dei terreni agricoli. Questi dati appaiono spropositati se comparati a quelli relativi alla carne coltivata dove occorrerebbe solo l’1% della terra occupata attualmente dai laboratori.
Le problematiche ambientali derivanti dall’allevamento tradizionale riguardano anche il consumo delle risorse idriche. Basti pensare che per la produzione zootecnica occorre circa l’8% dell’utilizzo globale di acqua, mentre i sistemi di coltivazione della carne richiederebbero fino al 96% in meno di disponibilità di acqua.
Il potenziale vantaggio che viene attribuito alla produzione della ‘clean- meat’ rispetto all’industria della carne bovina tradizionale è quello di diminuire le emissioni di gas serra.
Alcuni paesi però, potrebbero avere dubbi riguardo la sicurezza alimentare e la salute umana associata alla carne coltivata, mentre altri potrebbero avere preoccupazioni riguardo gli impatti sociali ed economici sull’industria agricola tradizionale. Alcuni potrebbero anche essere riluttanti ad investire in questa tecnologia a causa delle incertezze normative o delle questioni etiche associate all’uso di cellule animali in vitro. Inoltre, le opinioni sulla carne coltivata possono variare anche a seconda delle tradizioni culturali e delle abitudini alimentari di ciascun paese. In definitiva, mentre alcuni paesi possono essere favorevoli allo sviluppo della carne coltivata come alternativa sostenibile alla produzione di carne tradizionale, altri potrebbero mostrare una maggiore resistenza o disaccordo rispetto a questa nuova tecnologia alimentare. Attualmente solo Singapore ne ha autorizzato la vendita al dettaglio; Israele e gli Stati Uniti potrebbero essere i prossimi.
Tra i paesi più impegnati nella diminuzione del consumo di carne, vi è sicuramente la Danimarca. Il Paese potrebbe essere il primo al mondo a dire addio al consumo di carne. Il piano nazionale per la transizione alimentare vegetale avviato nell’Ottobre 2023 dallo Stato danese ha come obiettivo quello di prevedere una dieta esclusivamente a base vegetale che coinvolgerebbe, sin da subito, le strutture pubbliche, in primis, le mense scolastiche. L’obiettivo è quello di limitare l’impatto ambientale del consumo di carne e, più in generale, di salvaguardare la salute dei cittadini. Diventare il primo stato al mondo “plant-based” potrebbe avere anche grandi vantaggi in termini di ritorno economico: potenziare le industrie di prodotti vegetali o, più in generale, di alimenti alternativi alla carne, con l’erogazione di fondi per start-up e formazione nel settore ricettivo. Tutto ciò, porterebbe il Paese a diventare leader nell’industria alimentare.
Il Piano d’Azione prevede, secondo i calcoli del Ministero dell’Agricoltura, un introito di oltre 3 miliardi e mezzo di euro nelle casse pubbliche con conseguente aumento del tasso di occupazione: il “plant-based” andrebbe infatti a creare oltre 27mila posti di lavoro. Il ministro Jacob Jensen ha così giustificato la scelta della Danimarca: “gli alimenti a base vegetale sono il futuro. La transizione dalla carne è necessaria e non c’è dubbio che una dieta più ricca di vegetali aiuta a ridurre la nostra impronta climatica”.
Parallelamente al governo danese, anche le autorità olandesi stanno adottando una prospettiva più aperta verso la carne coltivata, riconoscendola come un potenziale contributo all’agricoltura sostenibile e alla sicurezza alimentare. In particolare, l’Olanda sarà il primo Paese in Europa a consentire le degustazioni “in condizioni e ambienti controllati” della carne coltivava, sebbene la vendita e la commercializzazione rimangano ancora vietate.
A tal fine, ha adottato un codice di condotta (luglio 2023) in cui si stabilisce che le aziende che si trovano sul territorio olandese e che sono state abilitate possano organizzare un massimo degustazioni fino ad un massimo di 10 all’anno. Il Codice rappresenta un progetto pilota e ha durata di un anno con possibilità di proroga.
In conclusione, la carne coltivata rappresenterebbe una svolta rivoluzionaria nell’industria alimentare dal momento in cui la ricerca di alternative proteiche alla carne tradizionale è uno dei temi centrali del mondo alimentare. Questa nuova tecnologia potrebbe risolvere il problema dell’aumento della domanda di carne dovuto principalmente alla rapida crescita della popolazione mondiale. Tuttavia, prima che questo prodotto possa arrivare alle nostre tavole sarà necessario affrontare delle sfide importanti. Alla luce della disciplina esistente, sarà necessario creare un quadro normativo più “adatto” alla carne coltivata, in modo da standardizzare un alto livello di sicurezza alimentare e rendere possibile la circolazione e il commercio di quest’ultima.
Infine, ci sembra opportuno sottolineare come la scelta di produrre carne in laboratorio sia, nel lungo periodo, valida anche sotto altri profili. Penso ad esempio, a quello economico, dove l’avvio della produzione su scala industriale potrebbe generare una diminuzione dei costi, o a quello biomedico, dove le tecnologie utilizzate potrebbero portare interessanti prospettive di sviluppo. Non va dimenticato, inoltre, il ruolo che la carne coltivata potrebbe avere in termini di sicurezza alimentare e di utilizzo di contaminanti biologici, chimici e fisici.
Un altro aspetto importante è quello della terminologia utilizzata ai fini della percezione dei, consumatori. È necessario trovare una definizione che sia approvata da tutti e che sia identificativa e fedele alle caratteristiche del prodotto.
In definitiva, la carne coltivata offre una via promettente per affrontare molte delle sfide globali legate all’alimentazione; con l’impegno collettivo e l’innovazione continua, possiamo sperare in un futuro in cui la carne coltivata non solo diventi una parte comune della nostra dieta, ma rappresenti anche un’importante risorsa per la sostenibilità del pianeta. Affinché tutto ciò avvenga, occorrerà condurre nuovi studi e valutarne i risultati.
Roberta Alfidi