Ostacoli giuridici e sfide infrastrutturali per la conservazione della biodiversità

La biodiversità svolge un ruolo cruciale per la vita sulla Terra, poiché da essa dipendono la capacità degli ecosistemi di catturare e trasformare la CO2, la stabilità climatica, la resilienza ai cambiamenti climatici e la riduzione del numero di calamità naturali, quest’ultime in costante aumento negli ultimi anni.

Tuttavia, la biodiversità oggi è seriamente messa a repentaglio a causa delle attività dell’uomo e al tempo stesso dalla mancanza di azioni adeguate.

La perdita di biodiversità, inoltre, si intreccia con la crisi climatica in un circolo vizioso in cui la distruzione degli ecosistemi riduce e indebolisce ulteriormente la capacità della natura di adattarsi, mentre il riscaldamento globale accelera l’estinzione delle specie, indebolendo la nostra sicurezza ecologica.

L’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform in Biodiversity and Ecosystem Services), organismo intergovernativo indipendente istituito nel 2012 sotto l’egida delle Nazioni Unite per fornire valutazioni scientifiche e supporto politico sulla biodiversità, ha stimato, nel suo Rapporto Globale del 2019, che circa un milione di specie siano a rischio di estinzione.

In questo scenario la conservazione della biodiversità affronta una sfida trasversale che richiede l’integrazione di normative, pianificazione territoriale e azioni infrastrutturali.

A livello internazionale il principale riferimento è la Convenzione sulla Diversità Biologica del 1992, adottata a Rio de Janeiro, che si fonda su tre obiettivi principali:

  1. Conservazione della diversità biologica
  2. Uso sostenibile delle sue componenti
  3. La giusta ed equa divisione dei benefici dell’utilizzo di queste risorse genetiche.

La Convenzione è stata successivamente rafforzata dal Global Biodiversity Framework di Kunming adottato nel corso della COP15 del 2022 (Montreal, Canada), dove sono stati fissati obiettivi ambiziosi da realizzarsi entro il 2030 per arrestare e invertire la perdita di biodiversità, tra cui la protezione del 30% delle terre e dei mari e il ripristino del 30% degli ecosistemi degradati.

A livello europeo, con la Strategia per la Biodiversità 2030, sono stati recepiti questi obiettivi e si è proposto di tutelare almeno il 30% del territorio dell’Unione e di ripristinare il 20% degli ecosistemi degradati entro la fine del decennio.

In Italia, invece, questi impegni sono stati recepiti con l’adozione della nuova Strategia Nazionale per la Biodiversità al 2030, approvata con Decreto Ministeriale n. 252 del 2023. Il documento aggiorna e sostituisce la strategia del 2010, fissando obiettivi nazionali coerenti con il quadro europeo e prevedendo una governance multilivello per coordinare le azioni sul territorio. La sfida principale, tuttavia non riguarda solo l’adozione formale degli strumenti, ma la loro capacità di incidere sulle politiche di uso del suolo, sulla pianificazione urbanistica e sulla gestione delle infrastrutture, spesso condizionate da interessi economici contrapposti e da una frammentazione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali.

Tali criticità emergono in modo evidente dall’osservazione dell’impatto delle infrastrutture e dal consumo di suolo, che avanzano a ritmi allarmanti. In Italia, secondo i dati del rapporto dell’ISPRA del 2023, emerge che le artificializzazioni sono aumentate e raggiungono i 77 chilometri quadrati di territorio. Nuovi terreni edificati, strade, ferrovie riducono e frammentano gli habitat, mentre la rete ecologica nazionale potenziata dalla Strategia Nazionale 2030 fatica a concretizzarsi a livello regionale e locale per via di una mancata integrazione tra pianificazione infrastrutturale e obiettivi ecologici.

A ciò si aggiungono ulteriori difficoltà sul piano giuridico. Strumenti come la Valutazione di Incidenza Ambientale per i siti Natura 2000 e la Valutazione di Impatto Ambientale per le grandi opere che spesso si riducono a procedure formali prive di una reale efficacia. Inoltre, il conflitto tra i diversi interessi pubblici, dallo sviluppo economico alle esigenze energetiche e all’espansione urbana, si scontrano con la necessità di tutelare l’ambiente.

In tale prospettiva si colloca la sentenza della Corte Costituzionale n. 178 del 2018, con cui i giudici hanno dichiarato l’illegittimità di alcune disposizioni regionali della Sardegna che introducevano deroghe ai vincoli paesaggistici e modifiche agli usi civici. La Corte ha ribadito che la tutela dell’ambiente e del paesaggio costituisce competenza esclusiva dello Stato e valore primario, non sacrificabile a favore di interessi economici o infrastrutturali locali. La pronuncia conferma, pertanto, la necessità di un coordinamento tra i diversi livelli istituzionali al fine di garantire l’effettiva attuazione delle strategie di conservazione della biodiversità.

Le sfide e gli ostacoli giuridici e infrastrutturali attuali richiedono un cambio di paradigma, alla luce anche dalla recente modifica costituzionale (2022) che ha considerato la biodiversità come un bene da tutelare (art. 9). È necessario, quindi, adottare un approccio ecosistemico integrato, capace di rafforzare la pianificazione paesaggistica e ambientale vincolando gli strumenti urbanistici agli obiettivi ecologici, investire nella rinaturalizzazione urbana e nelle infrastrutture verdi, monitorare i piani regionali per la biodiversità, così da trasformare gli impegni normativi in risultati concreti per gli ecosistemi e per la comunità. Allo stesso tempo, occorre promuovere una maggiore cooperazione tra i diversi livelli di Governo nonché tra le politiche settoriali, superando così la frammentazione delle competenze che ancora oggi limita l’efficacia delle azioni a tutela dell’ambiente.

di Giada Puglisi