Negli ultimi anni l’attenzione sulle questioni ambientali è cresciuta in modo esponenziale, con un aumento significativo delle eco-proteste da parte delle giovani generazioni. Lo spettro dell’attivismo ambientale si è ampliato con diversi approcci e strategie. Alcuni optano per azioni dirette e di disobbedienza civile, mentre altri scelgono vie più mediate per farsi sentire. In questo contesto, sono emersi movimenti come Fridays For Future, Extinction Rebellion e Ultima Generazione, che puntano a realizzare azioni di protesta che hanno come obiettivo quello di generare e favorire dibattiti. Tuttavia, le loro azioni hanno sollevato dubbi circa la loro legalità nonché sul loro valore etico.
È interessante notare come all’intensificarsi delle azioni da parte degli attivisti sia corrisposto un irrigidimento da parte delle autorità nazionali, sia in Italia che in altri Stati europei. Anche i media hanno spesso adottato un linguaggio “accusatorio” o “giudicante”. Basti pensare che hanno fatto riferimento agli attivisti in un’accezione negativa definendoli come eco-terroristi o eco-vandali. È chiaro che abbiano preferito puntare l’attenzione più sui metodi e le modalità di protesta, più o meno condivisibili, che sul messaggio che si prefiggono di trasmettere. In questo senso, particolare rilievo assume l’indagine condotta dall’Institute for Strategic Dialogue (“Come i titoli dei media mainstream e “alternativi” inquadrano l’attivismo climatico” ) che ha evidenziato come, nonostante l’ampia copertura mediatica, manchi, a livello pubblico, una comprensione approfondita delle ragioni alla base delle proteste climatiche.
A livello italiano, la recente riforma costituzionale ha imposto allo Stato e agli enti locali l’obbligo di proteggere l’ambiente e le risorse naturali per le generazioni presenti e future (art. 29). Allo stesso tempo, la Costituzione sancisce il diritto di riunirsi pacificamente (art. 17), associarsi (art. 18), nonché di “manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” (art. 21). In questo contesto, si inserisce, dapprima la Legge n. 22 del 9 marzo 2022 (Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale) e, più recentemente, la Legge n. 6 del 24 gennaio 2024 (Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici, c.d. “Legge eco-attivisti”). La Legge del 2022 aveva modificato il Codice penale prevedendo una pena detentiva (da due a cinque anni) e una sanzione (da 2.500 a 15.000 euro) per chiunque avesse distrutto, disperso, deteriorato, deturpato, imbrattato e usato in modo illecito i beni culturali o paesaggistici (art. 518-duodecies). La legge del 2024 ha ulteriormente inasprito le pene previste dal Codice penale per reati come manifestazioni non autorizzate, violazione del foglio di via, imbrattamento o blocco del traffico.
È evidente come a livello normativo si stia diffondendo un clima di repressione del dissenso. In questo senso, appare importante il Documento (Position Paper) adottato dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sui difensori dell’ambiente ai sensi della Convenzione di Aarhus, Michel Forst, il 28 febbraio 2024. Il Relatore, nel ritenere che la “repressione che gli attivisti ambientali che usano la disobbedienza civile pacifica stanno attualmente affrontando in Europa” rappresenti una grave minaccia alla democrazia e ai diritti umani, sostiene che “l’emergenza ambientale che stiamo affrontando collettivamente e che gli scienziati documentano da decenni, non possa essere affrontata se coloro che lanciano l’allarme e chiedono un’azione vengono criminalizzati per questo” e che “l’unica risposta legittima all’attivismo ambientale pacifico e alla disobbedienza civile a questo punto è che le autorità, i media e il pubblico si rendano conto di quanto sia essenziale per tutti noi ascoltare ciò che i difensori dell’ambiente hanno da dire”.
Le ragioni “nobili” delle azioni sono state riconosciute anche a livello giurisprudenziale dal Tribunale di Bologna che, nel condannare tre attivisti di Ultima generazione a causa del blocco della tangenziale, ha riconosciuto loro delle attenuanti per aver agito per particolari motivi di ordine morale e sociale (18 gennaio 2024). In particolare, il giudice ha condannato i tre giovani ambientalisti per i reati di violenza privata e interruzione di pubblico servizio, ma li ha assolti dalle accuse di danneggiamento, manifestazione non autorizzata e inottemperanza al foglio di via.
Proviamo, quindi, a chiederci, senza alcun tipo di preconcetto, quali siano i motivi che spingono molti giovani a tali forme di azioni. Per prima cosa, occorre rilevare che non tutti i movimenti ambientalisti ricorrono ad azioni di disobbedienza civile. Potremmo dire che, anche nella galassia dei movimenti giovanili per l’ambiente, esistono dei gruppi “più radicali”. L’ idea di fondo che li anima è che le manifestazioni in piazza, che negli ultimi anni hanno caratterizzato le proteste, non hanno portato a grossi risultati o, per lo meno, non bastano più dinanzi al peggioramento della crisi climatica. Per questo sono spinti a compiere azioni più ad “impatto” che hanno come obiettivo proprio quello di creare scalpore e di farne parlare. Fortemente motivati, ritengono che la disobbedienza civile non violenta sia l’unico modo per farsi sentire. D’altra parte, non è la prima volta che ciò avviene. Basti pensare ai movimenti per i diritti civili negli anni sessanta del secolo scorso. E che ci sia un richiamo a quanto accaduto qualche decennio fa, emerge dalle interviste rilasciate da alcuni membri di Ultima Generazione. Non mancano riferimenti, infatti, alle lotte delle suffragette o alle azioni di Martin Luther King o di Ghandi che con la loro disobbedienza civile hanno portato a cambiamenti drastici a livello sociale.
Infine, se guardiamo all’età media di questi attivisti, ci rendiamo conto che sono per lo più giovani che, potremmo dire, appartengono sia alla generazione presente che a quella futura. Come molti loro coetanei, sono preoccupati di quanto fatto finora nella gestione dell’emergenza climatica e chiedono una politica più efficace e responsabile a livello statale perché su di loro peseranno le scelte fatte oggi. A loro va riconosciuto il merito di aver posto la questione climatica all’ordine del giorno delle politiche statali e, allo stesso tempo, di aver aumentato la consapevolezza e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Maria Izabela Chili