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L’acquacoltura in Europa: una risorsa per il futuro?

L’Europa rappresenta una delle zone con il consumo di prodotti ittici più elevato al mondo. Basti pensare che il consumo medio pro-capite si aggira intorno ai 22 chilogrammi annui. A livello generale, il mercato ittico europeo muove ogni anno un valore di 55 milioni di euro e un volume di 12 milioni di tonnellate di pescato. L’Europa ricopre circa il 3,1% della produzione globale di prodotti ittici derivanti da pesca e acquacoltura posizionandosi al quarto posto nella classifica dei maggiori produttori. L’80% della produzione europea proviene dalla pesca, mentre il 20% da allevamenti in acquacoltura.

Tuttavia, ad oggi, la maggior parte dei consumi viene soddisfatta tramite importazioni da Paesi extra- UE. Per questo, negli ultimi anni, a livello europeo si è dibattuto molto su quale possa essere il ruolo dell’acquacoltura nella produzione futura, considerandola come una soluzione in grado di soddisfare il fabbisogno in continua crescita dei consumatori mantenendo, allo stesso tempo, una produzione sostenibile.

Ma qual è il ruolo dell’acquacoltura in Europa?

Da un punto di vista normativo, un primo tentativo di disciplinare la materia dell’acquacoltura risale al 2002. In quell’occasione, la Commissione ha adottato la “Strategia per lo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura europea con i seguenti obiettivi:

  • creare occupazione stabile e duratura, in particolare nelle zone dipendenti dalla pesca;
  • garantire al consumatore la disponibilità di prodotti sani, sicuri e di qualità, nonché promuovere livelli elevati di salute e benessere degli animali;
  • sostenere un’attività ecocompatibile.

Negli anni a seguire la Commissione europea ha adottato altre comunicazioni (2009, 2013) con le quali ha definito quelli che sono gli obiettivi strategici dell’UE riguardo all’acquacoltura.

L’ultima, in senso cronologico, è stata pubblicata il 12 maggio 2021 “Orientamenti strategici per un’acquacoltura dell’UE più sostenibile e competitiva per il periodo 2021-2030” e fornisce gli orientamenti generali per la nuova strategia europea in ambito di acquacoltura. In linea con quelli che sono gli obiettivi del Green Deal europeo e della strategia “Dal produttore al consumatore”, i prodotti ittici da acquacoltura vengono considerati come un’importante fonte di proteine a basso impatto ambientale. I quattro pilastri, tra loro interconnessi, su cui si basa la Comunicazione sono:

  1. sviluppare la resilienza e la competitività;
  2. partecipare alla transizione verde;
  3. garantire l’approvazione sociale e le informazioni ai consumatori;
  4. rafforzare le conoscenze e l’innovazione.

Tuttavia, esistono due condizioni fondamentali da dover rispettare per consentire lo sviluppo del settore dell’acquacoltura: l’accesso allo spazio e all’acqua (1) e un quadro normativo e amministrativo trasparente ed efficiente (2). Queste due condizioni non sono semplici da osservare. Da una parte, a causa dei cambiamenti climatici, l’acqua e l’accesso all’acqua scarseggiano creando una competizione settoriale, dall’altra, la complessità normativa riguardo al rilascio di licenze a livello nazionale rappresenta un ostacolo per le PMI che lavorano in ambito ittico.

A queste due problematiche si aggiunge quella dell’impatto delle attività di acquacoltura sull’ambiente. Diverse inchieste sono state svolte all’interno degli allevamenti, sia sul sovrasfruttamento delle risorse ittiche, sia sull’abuso di farmaci antimicrobici per limitare la diffusone di malattie tra i pesci.

Un caso eclatante è stato quello degli allevamenti scozzesi di salmone. Si ricordi che il salmone costituisce il 15% della produzione europea e che la Scozia è il terzo produttore al mondo del salmone atlantico d’allevamento. Dall’inchiesta condotta nel 2020 da Compassion in World Farming è emerso come negli allevamenti di salmone si violi sistematicamente il benessere animale. In particolare, sono stati registrati elevati tassi di mortalità oltre a danni fisici consistenti e a un importante contagio di pidocchi di mare. A livello generale, va detto che una delle maggiori criticità legate a tali forme di allevamento è il pericolo di fuga da parte di pesci infetti rischiando così un potenziale contagio di altre specie marine. È evidente, inoltre, che i danni non si limitano solo ai salmoni allevati ma ricadono su tutto l’ambiente circostante a causa, soprattutto, dei rifiuti organici e chimici che finiscono per atrofizzare la fauna e la flora del fondale marino.

Un’altra situazione particolarmente grave, legata sempre all’acquacoltura, è l’uso eccessivo di antibiotici che contribuisce al fenomeno della c.d. antibiotico-resistenza. Spesso, infatti, negli allevamenti si tende a sottoporre a tali cure tutti i pesci presenti all’interno delle gabbie, anche quelli che non presentano segni clinici di malattie, finendo per causare così una resistenza agli antibiotici tale da rappresentare un rischio per la salute umana.

Possiamo dire che l’acquacoltura può rappresentare un’alternativa valida per la produzione ittica. La domanda in continuo aumento e il maggiore interesse da parte dei consumatori per un prodotto di qualità e rispettoso dell’ambiente fanno ben sperare per il futuro. Tuttavia, ci sono ancora molti passi da fare per quel che riguarda la regolamentazione normativa in ambito ittico e soprattutto di acquacoltura.

Un’ultima menzione meritano le organizzazioni come MSC (Marine Stewardship Council) e ASC (Aquaculture Stewardship Council) che svolgono un importante lavoro per quel che riguarda l’ecolabelling sostenibile. I prodotti etichettati con i loro loghi indicano, infatti, che il prodotto ittico proviene da un percorso di produzione sostenibile, rispettoso dell’ambiente e dell’animale.

In fin dei conti la scelta rimane sempre nelle mani del consumatore. 

Rita Colapietro