“The Ocean Cleanup”, come già scritto nel precedente articolo, nasce dall’idea di Boyan Slat. Tutto ha origine da un suo viaggio in Grecia, quando, durante un’immersione, avvistò “più sacchetti di plastica che pesci”. Ciò fece sorgere in lui la voglia di trovare una soluzione ad un problema evidente.
La sede centrale dell’organizzazione si trova a Rotterdam (Paesi Bassi) ed è composta da 120 ingegneri, ricercatori, scienziati, modellatori computazionali e ruoli di supporto, che lavorano quotidianamente per liberare gli oceani dalla plastica. Nel 2012, Boyan Slat ha tenuto un discorso TEDx su come liberare gli oceani dalla plastica utilizzando nuove tecnologie. Il video è diventato presto virale e lo slancio che ne è seguito gli ha permesso di fondare “The Ocean Cleanup”. Numerosi studi lo hanno portato a capire che la plastica si accumula in cinque grandi vortici oceanici, il più grande dei quali è il Great Pacific Garbage Patch (GPGP), che ricopre una superficie pari a tre volte la Francia.
Trattandosi di un’organizzazione senza scopo di lucro, essa conta sul sostegno di aziende, filantropi e pubblico in generale per raggiungere il suo obiettivo: ridurre del 50% le plastiche presenti nell’Oceano Pacifico e ripulire tutte le cinque “discariche galleggianti” entro il 2050.
The Ocean Cleanup non si occupa solo di rimuovere la plastica dai mari, ma anche di assicurargli una seconda vita, creando dei prodotti piacevoli e sostenibili e garantendo agli acquirenti la tracciabilità.
Come lavorano?
La fondazione olandese ha calcolato che ogni anno tra gli 1,15 e i 2,41 milioni di tonnellate di plastica presente nei mari, provengono dai fiumi, la maggior parte dei quali si trova nel continente asiatico. La tecnologia utilizzata dall’associazione è chiamata: System 003, un sistema che ha origine da due tecnologie precedentemente usate (System 001 e System 002) e che è stato progettato, implementato e gestito da The Ocean Cleanup. Il processo di pulizia avviene attraverso una barriera galleggiante lunga 2,2 Km che si estende per 4 metri sotto la superficie dell’acqua, dove è possibile incontrare la maggior parte della plastica galleggiante. Come prima cosa, l’equipaggio naviga per cinque giorni nel Pacifico settentrionale, dirigendosi verso la zona del GPGP. Il sistema 003 è trasportato a destinazione da due navi – la Maersk Tender e la Maersk Trader– e una volta pronto, viene trainato lentamente verso le aree di plastica a più alta densità, che sono individuate grazie ai dati di monitoraggio e alla modellazione dell’intelligenza artificiale.
La plastica galleggiante è guidata da “delle braccia” verso la zona di ritenzione, che una volta riempita, viene svuotata sul ponte della nave per essere smistata e imballata. Successivamente, la zona di ritenzione viene riposizionata in acqua e il processo ricomincia.
Inoltre, il sistema 003 è sempre più sicuro per l’ambiente marino grazie all’introduzione di una novità chiamata MASH: Marine Animal Safety Hatch. Se un animale viene avvistato, dalle telecamere presenti nella zona di ritenzione, il MASH si attiva, bloccando qualsiasi ulteriore ingresso nella zona di ritenzione, aprendo una botola di uscita, coì da garantire all’animale una via di fuga. Questo meccanismo fa sì che tutti gli animali escano dalla zona di ritenzione senza causare un pieno rilascio della plastica in mare.
Da un punto di vista giuridico, non esiste un accordo internazionale che vada a disciplinare una “pulizia” della plastica negli oceani. Ad oggi, però, sono in corso i negoziati per l’adozione di un Trattato contro l’inquinamento da plastica. Nella seconda metà del 2022, l’INC è stato convocato dal Direttore Esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente per sviluppare “lo strumento” globale che affronti l’intero ciclo di vita della plastica, compresa la produzione, la progettazione e lo smaltimento. La questione chiave che vede “scontrarsi” i Paesi è se ridurre o limitare la produzione di polimeri plastici primari. Alcuni sostengono che la produzione di polimeri di plastica debba essere limitata, altri, invece, affermano l’importanza economica della plastica e pensano che il trattato debba solamente riguardare la lotta all’inquinamento. L’ambizione dell’INC è quella di completare i negoziati entro la fine del 2024.
Indubbiamente, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS, 1982) individua quelle che sono le “responsabilità” degli Stati (non parliamo di nazioni che come termine ha più a che vedere con le persone) in e sul mare.
Di fatto, la Convenzione definisce le diverse aree marine con le differenti “responsabilità”. La prima delimitazione riguarda le acque territoriali di uno stato, che si estendono fino alle 12 miglia dalla costa. In questa parte di mare lo stato ha la piena sovranità. Successivamente troviamo la Zona Economica Esclusiva (“ZEE”), all’interno della quale lo stato ha diritti esclusivi in termini di esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse naturali (pesce, minerali e combustibili fossili). Infine, troviamo l’alto mare, che comprende la parte restante dell’oceano. In questa zona, nessuno stato può rivendicare la sovranità. Ogni imbarcazione ha diritto a navigare liberamente in queste acque, a patto che si avvalga della giurisdizione esclusiva di uno Stato di bandiera.
Attraverso questa suddivisione, sono stati definiti i diritti e le responsabilità degli stati nei confronti dell’oceano. Tra gli obblighi statali rientrano quelli volti a proteggere, prevenire e ridurre l’inquinamento marino.
Per quanto riguarda l’inquinamento da plastica, va detto che questo materiale si accumula per lo più in aeree (come la Great Pacific Garbage Patch) situate in alto mare, al di fuori della giurisdizione statale. Per tale ragione, nessuno può essere considerato responsabile del danno e della relativa “riparazione”. Ad oggi, quindi, il tema è affrontato principalmente all’interno delle organizzazioni internazionali, in primis l’ONU, o nel mondo della società civile, con le varie ONG ambientaliste.
In attesa che venga adottato l’Accordo globale contro l’inquinamento da plastica, occorre, a mio avviso, che ci sia un comportamento più attivo e consapevole da parte di ogni persona. Un approccio più sensibile all’ambiente dovrebbe portare a ridurre l’uso della plastica nella vita quotidiana, ma anche a contribuire, attraverso le numerose campagne in questo senso, alle attività di “pulizia” realizzate organizzazioni no-profit.
L’Oceano è tra le cose più importanti del nostro mondo e spetta a tutti noi prendercene cura.
Elena Sofia Boncelli