Secondo la definizione fornita dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite (sul cambiamento climatico, 1992), per “cambiamenti climatici” si intendono i cambiamenti a lungo termine delle temperature e dei modelli meteorologici. Quest’ultimi possono avvenire in maniera naturale o, come si sta verificando dal XIX secolo, anche per opera dell’uomo.
Attualmente, fra le conseguenze del cambiamento climatico figurano fenomeni come siccità, incendi gravi, innalzamento dei livelli del mare, tempeste catastrofiche e riduzione della biodiversità. Tuttavia, i cambiamenti climatici possono incidere anche sulla salute umana e alcune persone risultano più vulnerabili rispetto ad altre, in particolar modo le donne.
Queste ultime sono le più colpite dai cambiamenti climatici, specialmente nei Paesi in via di sviluppo. Questa vulnerabilità è attribuibile a fattori socioeconomici come l’accesso limitato alle risorse, all’istruzione e alle opportunità di lavoro rispetto agli uomini. Occorre sottolineare, inoltre, come, in questi contesti, le donne siano le principali responsabili della maggior parte dei compiti di cura e della produzione di cibo per la famiglia.
Di conseguenza, in questi casi, il cambiamento climatico può fungere da moltiplicatore dei rischi e degli effetti delle situazioni preesistenti. Se non vengono prese in considerazione queste differenze si rischia di aggravarle, portando le donne, già in posizione di svantaggio, ad essere maggiormente vulnerabili agli effetti negativi derivanti dai cambiamenti climatici.
Fin dai primi anni ’70 è stata oggetto di discussione la rilevanza del genere per le questioni ambientali, quando i temi sui cambiamenti climatici si sono intrecciati con l’emergere dello studio sul ruolo delle donne nello sviluppo e nelle strategie politiche del movimento internazionale per i loro diritti.
Con la Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne delle Nazioni Unite, tenutasi a Pechino (1995), l’ambiente è stato individuato come una delle dodici aree critiche. In particolare, l’area K della Piattaforma d’azione di Pechino, sulle donne e l’ambiente, afferma che “le donne hanno un ruolo essenziale da svolgere nello sviluppo di modelli di consumo e produzione sostenibili ed ecologicamente validi e di approcci alla gestione delle risorse naturali“.
Negli accordi a portata generale, come la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e l’Accordo di Parigi, si prevedono alcune azioni predisposte per la mitigazione e l’adattamento alla crisi climatica, come l’obiettivo di riduzione delle emissioni entro limiti temporali precisi.
Nel 2022, si è tenuto a New York il secondo incontro Mondiale sulle Donne che si è concluso riconoscendo loro l’importante ruolo e si è adottato l’obiettivo del “Conseguimento dell’uguaglianza di genere e dell’emancipazione di tutte le donne e le ragazze nel contesto delle politiche e dei programmi relativi ai cambiamenti climatici, all’ambiente e alla riduzione del rischio di catastrofi”. Il fine è quello di migliorare i metodi di lavoro concentrando gli impegni al massimo delle capacità durante il 2025, in occasione del trentesimo anniversario della Quarta Conferenza mondiale sulle donne.
A livello europeo, la relatrice della Commissione per i diritti della donna e uguaglianza di genere dell’Unione Europea, la deputata svedese, Linnéa Engström, in occasione della relazione della Commissione sui diritti della donna del Parlamento Europeo nel 2017 ha affermato che “l’UE e gli Stati membri devono affrontare gli spostamenti di persone dovuti al clima seriamente e lavorare per un’agenda sul clima che tenga in considerazione il genere”.
In conclusione, per affrontare efficacemente i cambiamenti climatici, è essenziale integrare la prospettiva di genere nelle politiche climatiche. Solo così sarà possibile mitigare gli effetti del riscaldamento globale in modo equo e inclusivo, garantendo che le donne, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, non siano lasciate indietro.
Francesca Sanrocco