“Powering Progress sets out our strategy to become a net-zero emissions energy business by 2050, generating value for our shareholders, our customers and wider society. It is designed to integrate sustainability with our business strategy.” è la dichiarazione che Shell, gigante della produzione, raffinazione e vendita di prodotti energetici fossili e rinnovabili, propone nella sezione relativa alla sostenibilità. A causa dell’attività fortemente impattante dal punto di vista ambientale negli ultimi vent’anni ha portato avanti una progressiva acquisizione di crediti di carbonio per poter compensare le proprie emissioni di CO2.
Ma cosa sono i crediti di carbonio?
I crediti di carbonio, o carbon credits, sono una strategia sviluppata a livello internazionale finalizzata alla promozione di progetti di tutela ambientale e climatica, con l’obiettivo di riduzione o assorbimento dei gas ad effetto serra: l’acquisto va ad essere commisurato all’entità delle emissioni in capo ad aziende ed enti pubblici, per poter innescare un controbilanciamento alle emissioni dovute alla produzione o ad attività antropiche fortemente impattanti.
Ad oggi è possibile annoverare la presenza di numerosi regolamenti e standard relativi al controllo del corretto funzionamento del mercato dei carbon credits e alle sue best practices, tra cui:
• Protocollo di Kyoto: siglato nel Dicembre del 1997 (entrato in vigore solo nel 2005) che introduce due elementi centrali nella dinamica dei carbon credits ossia il Clean Development Mechanism (CDM), il quale permette ai Paesi industrializzati di realizzare progetti nei Paesi in via di sviluppo per ridurre le emissioni di gas serra e favorire lo sviluppo locale così da generare crediti di emissione (CER) per i Paesi promotori, e il Joint Implementation (JI), che permette invece ai Paesi industrializzati di soddisfare parte dei loro obblighi di riduzione delle emissioni di gas serra finanziando progetti che riducono le emissioni in Paesi in Via di Sviluppo (PVS).
• Accordo di Parigi: Oltre all’obiettivo primario di ridurre la temperatura globale di 2°C entro il 2030, riformula i principi fondamentali del CDM e del JI come presentati nel Protocollo di Kyoto. In particolare, si pone l’attenzione sul rafforzamento della Riserva di Stabilità del Mercato, il meccanismo istituito dall’UE nel 2015 per ridurre l’eccedenza di quote di emissioni nel mercato del carbonio e migliorare la resilienza dell’EU ETS agli shock futuri. Inoltre, si deve continuare con l’assegnazione gratuita di quote per garantire la competitività internazionale dei settori industriali esposti al rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio (carbon leakage), assicurando allo stesso tempo che le regole per determinare tale assegnazione gratuita siano mirate e riflettano il progresso tecnologico.
• EU Emission Trading System: quest’ultimo è il principale strumento dell’Unione Europea per combattere i cambiamenti climatici e ridurre economicamente le emissioni di gas serra; in particolare si rivolge alle organizzazioni operanti nei settori regolamentati dalla normativa UE specifica relativa all’ETS.
• Vari standard tra cui il Verified Carbon Standard, che va ad attestare ai progetti il loro beneficio ambientale in termini di CO2 equivalente, e il Gold Standard, il cui scopo è assicurare che i crediti di carbonio siano autentici e verificabili, e che i progetti offrano contributi concreti e misurabili allo sviluppo sostenibile.
L’aumento della sensibilità sociale alla tematica dei cambiamenti climatici e i tangibili effetti di quest’ultimo (non da ultimo si ricorda l’alluvione nel Rio Grande do Sul del maggio scorso), hanno spinto moltissime aziende da un lato a ripensare al loro assetto produttivo, con un approccio più enviromental friendly, dall’altro al ricorso all’acquisto di carbon credits sui mercati internazionali. Questo secondo approccio è stato perseguito da molte aziende per compensare le loro attività core business fortemente impattanti sull’ambiente (tra le altre, Disney, Gucci, Chevron, Canadian Natural Resources e Shell).
È proprio l’acquisto di circa 200 mln di dollari in carbon credits della Shells nel 2020 che è stato attenzionato da parte di Greenpeace Canada. In particolare viene messo in luce come sia stato realizzato un accordo tra lo stato dell’Alberta e Shell per cui è stato possibile vendere crediti per due tonnellate di CO2 ogni tonnellata catturata dal progetto QUEST (Quest Carbon Capture and Storage). Inoltre Il governo dell’Alberta avrebbe concesso a Shell 5,7 milioni di tonnellate di crediti di carbonio in risposta alle critiche relative alle sabbie bituminose, una delle risorse petrolifere più inquinanti al mondo; altro punto rilevante è che, sebbene l’obiettivo iniziale del progetto QUEST fosse di catturare 30 mega tonnellate di carbonio all’anno entro il 2020, nel 2022 ne avrebbe catturata solo una. In questo modo, a fronte dei 406 milioni di dollari in crediti di carbonio, Shell ha evitato solo il 50% delle emissioni “guadagnando” 203 milioni di dollari in crediti “fantasma”.
Se da un lato gli impegni climatici da parte di Shell sembrano, almeno nelle affermazioni ufficiali, più importanti, dall’altro non è possibile dire la stessa cosa per l’acquisto dei crediti di carbonio.
In definitiva, il monito della ONG è come questa dinamica dei crediti possa perpetuarsi ulteriormente a favore di altre aziende fortemente inquinanti. Pensiamo alle proposte di cattura di carbonio a fronte di finanziamenti pubblici. Tali attività diventano, sempre più spesso, uno strumento di greenwashing utili a ovviare a cambiamenti ben più radicali nei loro modelli di business.
Roberta Chillemi