Vi siete mai chiesti, quante energie vengono, giornalmente, impiegate dall’industria della moda nell’implementazione di nuove strategie e realtà organizzative? Quali attività si cerca di realizzare al fine di arrestare il riscaldamento globale, ripristinare la biodiversità e proteggere gli oceani?
In questo articolo cercheremo di comprenderlo.
Un ottimo esempio ci è offerto dal marchio Gucci, fondato a Firenze nel 1921, noto per le sue creazioni straordinarie in termini di qualità, cura dei dettagli e design innovativo.
La Maison è stata recentemente definita la prima corporation più sostenibile al mondo in ambito fashion. Ma a cosa deve l’onore di essere definita come tale? Non è stato solo merito delle innovazioni in campo produttivo, ma anche di tutti gli sforzi di compensazione delle emissioni di gas serra generate dalla produzione e dall’intera supply chain.
La Maison deve parte del suo successo a Kering. Gruppo mondiale del lusso che sostiene e promuove lo sviluppo di alcuni tra i più rinomati marchi di moda, pelletteria e gioielli: Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga, Alexander McQueen, Brioni, Boucheron, Pomellato, DoDo, Qeelin, e Kering Eyewear.
Lo slogan di Kering è “Creatività, audacia e diversità [..] guidano la nostra idea di un Lusso sostenibile e influente.” La creatività è, quindi, posta al centro della strategia, dando la possibilità “di stabilire nuove frontiere in termini di espressione creativa, plasmando il Lusso di domani in modo sostenibile e responsabile”.
Gucci entra a far parte di Kering nel ’99 ed è grazie al sostegno costante ricevuto dal gruppo, alla cultura condivisa e, soprattutto, alla determinazione che la Maison è riuscita ad operare di recente una delle sue svolte più green.
Nel 2023 ha costituito il primo Hub circolare. Un vero e proprio centro di R&S e di formazione sulle soluzioni di riuso e di riutilizzo degli scarti di lavorazione, come, pelle, tessuto, componenti tecnici delle calzature, accessori metallici e plastici, packaging.
L’Hub nasce “con l’obiettivo di accelerare la trasformazione del modello produttivo del settore moda in Italia per creare il prodotto del lusso circolare del futuro: un prodotto che massimizza l’utilizzo di materiali riciclati, la durabilità, la riparabilità e la riciclabilità dei prodotti a fine vita”. A tal fine, promuove la ricerca condivisa di materiali circolari e l’innovazione sugli impianti industriali dei distretti locali; sviluppa nuovi canali di approvvigionamento locali e di consolidamento della filiera e minimizza gli impatti ambientali e sociali delle filiere produttive coinvolte grazie alle economie di scala e di scopo. Il progetto intende, inoltre, trasferire la visione circolare a beneficio della filiera fatta di piccole e medie aziende, strategica per la produzione. Il primo terreno su cui l’Hub si misurerà sarà proprio «la creazione di un set di nuovi materiali circolari, grazie a metodi e tecnologie che favoriscono il riuso o il riciclo degli scarti di lavorazione o dei prodotti invenduti per evitarne lo smaltimento».
Questa svolta sembrerebbe in linea con la ‘Strategia europea per il tessile sostenibile e circolare’ pubblicata dalla Commissione europea nel marzo del 2022. Le misure delineate al suo interno riguardano, in particolar modo, il design dei prodotti, il riciclo delle fibre tessili a fine vita, l’efficientamento dei processi e la lotta al greenwashing e, soprattutto, l’introduzione della responsabilità estesa del produttore, obbligando le aziende a farsi carico del fine-vita del prodotto e dei materiali di scarto.
L’obiettivo è far sì che, dal 2030 in poi, i prodotti tessili realizzati all’interno dell’Unione europea siano più durevoli e riparabili, composti da fibre riciclate e privi di agenti chimici tossici e inquinanti.
L’UE, richiede inoltre ai luxury brands di porre gli standard per una moda sostenibile.
A livello internazionale, invece, già nel settembre del 2019, si è assistito ad un traguardo senza precedenti: il Fashion pact, siglato da una coalizione di aziende leader nel settore della moda e del tessile, insieme ai loro fornitori e distributori.
Di seguito l’incipit documento: “L’industria della moda è […] è uno dei settori industriali con l’impatto più pesante: proprio per questo dovrebbe ricoprire un ruolo di primo piano nel passaggio verso un futuro più sostenibile”.
Il focus di questo patto è posto sulle opportunità non ancora sfruttate, ed è solo grazie ad una azione collaborativa che si possono trovare soluzioni e ottenere risultati a livello globale.
Le aziende firmatarie provenienti da settori e paesi diversi insieme rappresentano 1/3 dell’industria della moda, diversità che risulta fondamentale per garantire un impatto a lungo termine nella supply chain.
I tre macro-obiettivi principali del Fashion Pact sono: arrestare il riscaldamento globale, ripristinare la biodiversità e proteggere gli oceani. Per ognuno di essi è stata posta l’attenzione su alcuni segmenti target:
1) Con l’obiettivo di raggiungere la carbon neutrality entro il 2050, i membri si sono impegnati a favore degli Science Based Targets (SBTs) per il clima concentrando l’attenzione su 3 target: a) attuare i principi della carta delle Nazioni Unite per la sostenibilità della moda; b) ottenere un approvvigionamento di materie prime per il 25% a basso impatto ambientale entro il 2025; c) raggiungere una percentuale del 50% di energie rinnovabili entro il 2025 e del 100% entro il 2030.
2) L’attenzione alla biodiversità sta emergendo lentamente nel mondo della moda, pur rappresentando un tema cruciale per le aziende che utilizzano le risorse naturali. In questo senso, il Fashion Pact si è impegnato nella salvaguardia delle specie in pericolo e nella protezione e ricostruzione degli habitat a rischio. I primi obiettivi concreti che i membri del Fashion Pact hanno fissato sono: lo sviluppo di progetti di biodiversità individuali entro la fine del 2020 e il sostegno alla zero-deforestazione e alla gestione sostenibile delle foreste entro il 2025.
3) Per quanto riguarda la protezione degli oceani, il primo obiettivo del Fashion Pact è l’eliminazione di tutta la plastica presente negli imballaggi. Le parti si impegnano, inoltre, ad eliminare la plastica negli imballaggi B2C entro il 2025 e negli imballaggi B2B entro il 2030; assicurare che siano realizzati in plastica riciclata al 100% almeno metà degli imballaggi B2C entro il 2025 e, almeno metà degli imballaggi B2B, entro il 2030.
Per concludere, possiamo affermare che il Fashion Pact, qualora realizzato a pieno, rappresenti un punto di svolta verso una responsabilità sociale e ambientale della Moda.
Ciò che stupisce, in merito all’azienda Gucci, è che quando questo patto è stato siglato, la Maison fiorentina era già un passo avanti rispetto alle altre. Basti pensare che già nel 2018 aveva adottato, una delle prime aziende del lusso, la certificazione EP&L. Inoltre, grazie al Environmental profit and loss (una sorta di bilancio in grado di misurare profitti e perdite per l’ambiente) ha messo in atto innovazioni di processo che le hanno consentito, lavorando sulla propria filiera con il programma “strap less program”, di ridurre le emissioni di CO2, l’utilizzo di acqua e di prodotti chimici.
Attraverso queste azioni, Gucci ha dato dimostrazione di saper riconoscere il cambiamento, riuscendo allo stesso tempo a dimostrare non solo la sua volontà di impegnarsi a favore di esso, ma anche il suo desiderio di volerne essere parte integrante. Questo è il quadro che si è delineato fino ad ora, alla luce dei dati disponibili e degli impegni assunti dalla Maison, ci si auspica che queste promesse vengano mantenute anche in un prossimo futuro.
Melania d’Aloisio