Negli ultimi anni, l’Unione Europea (UE) ha assunto un ruolo di primaria importanza riguardo la tutela e la sostenibilità ambientale. Le numerose misure e iniziative adottate hanno fatto dell’UE una protagonista a livello mondiale. Basti pensare al ruolo che ha avuto in occasione della Conferenza di Parigi sul clima (COP 21).
L’UE ha sempre posto particolare attenzione alla questione del controllo delle emissioni e, in particolare, a quelle derivanti dal settore dei trasporti considerato la principale causa di inquinamento atmosferico nelle città. Per far fronte a questo scenario, l’UE ha adottato, come vedremo, una serie di regolamentazioni ad hoc. Nello stesso Green Deal (2019), il settore dei trasporti è citato più volte. Nel 2° Capitolo del Documento (Accelerare la transizione verso una mobilità sostenibile e intelligente), si evidenzia che “I trasporti sono responsabili di un quarto delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE e il loro impatto è in continua crescita. Per conseguire la neutralità climatica è necessario ridurre le emissioni prodotte dai trasporti del 90 % entro il 2050 e occorrerà il contributo del trasporto stradale, ferroviario, aereo e per vie navigabili.”
Nell’ambito del trasporto stradale, i primi interventi dell’UE hanno riguardato il controllo e la regolamentazione dei livelli di emissioni di autoveicoli e motocicli. La prima azione risale al 20 marzo 1970, quando venne adottata la Direttiva 70/220/CEE concernente le misure contro l’inquinamento atmosferico prodotto dai veicoli a motore e la procedura di verifica delle stesse, divenuta la base di tutte le successive regolamentazioni. In questo documento venivano indicati i primi standard da rispettare affinché i veicoli prodotti potessero essere regolarmente omologati.
A distanza di 20 anni è stata adottata una nuova disciplina, conosciuta come standard Euro 1. Parliamo della Direttiva 91/441/CEE, in vigore dal 1 gennaio 1993, in cui, richiamando i limiti di emissione imposti dalla Direttiva del 1970, si prevedeva la riduzione progressiva dei livelli di emissione di PM, Nox e di Co2 dei veicoli a motore. A tal fine erano previsti degli incentivi per accelerare l’immatricolazione di veicoli che rispettassero le soglie massime previste dalla Direttiva.
Gli anni successivi sono stati caratterizzati dall’adozione di misure sempre più stringenti riguardo i livelli consentiti di emissioni di monossido di carbonio (CO), ossidi di azoto (NOx) e PM. A tal proposito, gli interventi adottati sono stati lo standard Euro 2 (Direttive 94/12CE e 96/1CE) che ha imposto una diversificazione delle riduzioni delle emissioni tra diesel e benzina; Euro 3 (Direttive 98/69/CE, 98/77/CE rif. 98/69/CE e 99/96/CE) che ha posto l’obbligo di adozione del sistema European on Board Diagnostic (Eobd), sistema di controllo antinquinamento e di diagnosi del veicolo; Euro 4 (Direttive 98/69B/CE e 1999/98B/CE), che ha stabilito livelli consentiti di emissioni più severi rispetto a quelli già in vigore e ha aggiornato le procedure di controllo delle emissioni per l’omologazione dei veicoli ; Euro 5 (Direttiva 99/96 fase III, Direttiva 2001/27/CE, Direttiva 2005/78/CE, Direttiva 2006/51/CE), che ha imposto l’adozione del filtro antiparticolato (FAP), ovvero di un dispositivo capace catturare e ridurre le emissioni di polveri sottili (particolato) prodotte in particolare dai motori diesel. Attualmente è in vigore lo standard Euro 6, adottato con il Regolamento 595/2009 ed entrato in vigore il 1° settembre 2015, che prevede un limite di emissione decisamente più stringente rispetto ai livelli precedenti (limiti di emissioni di NOx per le auto diesel più che dimezzati) e nuovi test da eseguire per ottenere l’omologazione (di durata maggiore e con simulazioni di guida più vicine alla realtà).
Controverso poi è il dibattito in corso riguardo l’adozione del prossimo standard Euro 7, prevista tra il 2025 e il 2026. Tale iniziativa rientra all’interno del Green Deal in cui si prevede il passaggio alla completa decarbonizzazione entro il 2050.
Va detto, in realtà, che la stessa entrata in vigore del Green Deal, ha suscitato numerose preoccupazioni da parte dei principali produttori di veicoli nonché dalle associazioni del settore perché sono previsti degli standard ritenuti eccessivamente stringenti (dimezzati i livelli di emissioni di Nox e di CO2) tanto da rendere la produzione di alcuni tipi di vetture poco conveniente o del tutto svantaggiosa.
Tornando alla questione della possibile adozione dello standard euro 7, si rileva come, nonostante le consultazioni della Commissione europea sulla regolamentazione siano ancora aperte, è già possibile esaminare gli studi e i pareri rilasciati dalle associazioni di settore sulle quote da prevedere, spesso prossime allo zero, tra cui quello presentato dalla Association for Emissions Control by Catalyst (AECC).
A livello generale, i limiti imposti dai vari standard mostrano l’intenzione dell’Unione europea di ridurre totalmente il livello di emissione dei veicoli con motore a combustione interna, incentivando il passaggio a tecnologie pulite più sostenibili. In questo senso, possono essere letti, oltre al già citato Green Deal, l’adozione del Regolamento 631/2019, in vigore dal 1° gennaio 2020, che ha stabilito dei limiti di emissioni di CO2 per autovetture e veicoli commerciali, abrogando i regolamenti 443/2009 e 510/2011. Lo scopo del Regolamento del 2019 era quello di:
- contribuire al raggiungimento degli impegni dell’UE nell’ambito dell’accordo di Parigi;
- ridurre i costi di consumo di carburante per i consumatori;
- rafforzare la competitività dell’industria automobilistica dell’UE e stimolare l’occupazione.
Si ricordi che l’adozione del Regolamento rientra nell’obiettivo di riduzione delle emissioni delle autovetture previsto dal Regolamento 842/2018 UE (taglio del 15 % entro il 2025 e del 37.5% entro il 2030).
Lo scopo di tutte queste iniziative è il blocco totale della produzione di veicoli a combustione interna entro il 2035 perché, come ha detto il vicepresidente esecutivo per il Green Deal, Frans Timmermans, “Per raggiungere i nostri obiettivi climatici, le emissioni del settore dei trasporti devono seguire una chiara tendenza al ribasso. La strategia odierna cambierà il modo in cui le persone e le merci si spostano in Europa e renderà facile combinare diversi modi di trasporto in un unico viaggio […]”
Per quanto riguarda la situazione italiana, in occasione della quarta riunione del Comitato interministeriale per la transizione ecologica (CITE), tenutasi il 9 dicembre 2022 e, a cui hanno partecipato i ministri della Transizione ecologica Roberto Cingolani, delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili Enrico Giovannini e dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, sono state decise le tempistiche per la transizione ai veicoli senza motori a combustione interna allineando le aspettative del phase out alla data del 2035 per le automobili e al 2040 per i veicoli commerciali, in linea con la maggior parte dei paesi sviluppati.
Mattia Chiacchiararelli