La dieta entomofaga
Per la maggior parte degli italiani l’idea di mangiare insetti porta inevitabilmente a pensare ai wet market cinesi o ai mercati galleggianti di Bangkok, all’infuori di qualsiasi canone di buona cucina o regime alimentare tipico del mediterraneo. Di contro, soprattutto tra le giovani generazioni più attente alla tematica ambientale ed anche a corretti stili di vita, è emersa di recente una forte propensione alla ricerca di nuovi paradigmi alimentari, andando ad esplorare una sempre più ampia varietà di prodotti plant-based, a filiera controllata e a ridotte lavorazioni.
Novel Food è il termine tipicamente utilizzato per indicare tutti i prodotti alimentari “nuovi” dei quali non si riscontra un consumo prevalente prima del 1997 in ambito europeo. Infatti, al di fuori dei confini italiani e comunitari, la dieta entomofaga è da tempo una realtà ben consolidata, che trova i maggiori mercati di sbocco prevalentemente in Asia, Africa e alcune regioni dell’America Latina (da qui l’immagine collettiva dello street food da viaggio esotico).
A livello internazionale, la FAO individua negli insetti un’alternativa alimentare interessante per uomo e animali, in quanto rappresenta una fonte salutare di grassi, proteine, vitamine, fibre e minerali, nutriente e poco impattante sull’ambiente. Nello studio Edible Insects: future prospects for food and feed security (FAO, 2013), l’Organizzazione già allora analizzava l’impatto che avrebbe avuto l’adozione di questa in riferimento alla lotta alla fame (obiettivo 2 dell’Agenda 2030) e alla lotta all’inquinamento atmosferico, nonché alla deforestazione, (obiettivi 12, 13 e 15 dell’Agenda 2030).
Lo studio evidenziava come una dieta entomofaga avrebbe avuto ricadute positive in termini di riduzione degli effetti sull’ambiente rispetto agli allevamenti tradizionali. Quest’ultimi, infatti, comportano un alto tasso di emissioni climalteranti e un uso eccessivo del suolo e di risorse idriche (con conseguente deforestazione, in molti casi).
I dati degli ultimi anni forniscono un quadro preoccupante riguardo all’impatto degli allevamenti intensivi. Questi sono responsabili, infatti, del 9% delle emissioni di CO2, del 37% delle emissioni di metano e del 65% di quelle di protossido di azoto (più comunemente noto come ossido di diazoto). Al contrario, l’allevamento della specie di grilli “Tenebrio molitor”, unica approvata attualmente in Europa per il consumo umano, comporta un impatto ambientale ben più contenuto: basti pensare che, a parità di apporto proteico, il consumo di acqua è minore del 99,1% mentre la riduzione dell’utilizzo del suolo si attesta al 92,5%.
Un altro importante fattore da tenere in considerazione nella valutazione dei benefici consiste nelle proprietà nutrizionali del Tenebrio molitor (anche conosciuto come tarma della farina), capace di garantire un futuro alimentare più sostenibile.
Le numerose ricerche svolte dagli stessi produttori e dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) evidenziano un apprezzabile guadagno in proteine rispetto alle comuni fonti animali, un aumentato apporto di grassi omega-3 e omega-6 e di ferro, quest’ultimo a dei livelli paragonabili, se non addirittura superiori, a quelli della carne bovina.
L’Autorità europea ha valutato il processo di produzione, i valori nutrizionali dell’insetto, i livelli di contaminanti, la stabilità e la conservabilità della larva, i valori di digeribilità, il livello di micronutrienti, i fattori anti nutrizionali e gli aspetti tossicologici, ed è stato appurato che si trovano tutti entro i limiti di sicurezza alimentare stabiliti.
Tuttavia, sono state segnalate delle controindicazioni per alcune categorie di soggetti allergici (ad esempio ai crostacei, al glutine o agli acari della polvere) per via della somiglianza tra alcune proteine contenute nel grillo e nel suo mangime con l’allergene in questione.
Da un punto di vista commerciale, il mercato che si sta lentamente delineando, anche alla luce delle tendenze sopra evidenziate, ha una buona prospettiva di generazione di redditività e crescita, soprattutto per l’agroalimentare italiano, forte di un tessuto imprenditoriale capace e attento all’innovazione e di condizioni ambientali tradizionalmente favorevoli al suo sviluppo.
L’International Platform of Insects for Food and Feed, un’organizzazione che rappresenta gli interessi dei produttori di insetti,stima un volume di investimento di €3mld necessario per consentire una circolazione di una più ampia varietà di questi alimenti e stimolare i meccanismi tipici del mercato concorrenziale.
Va sottolineato, inoltre, che già prima dell’approvazione a livello comunitario delle tarme della farina, molte piccole e medie imprese italiane avevano delineato i propri business plan per il loro sfruttamento e, in alcuni casi, iniziato a vendere questo genere di novel food all’estero anche all’interno dei maggiori supermercati, come nel caso della limitrofa Svizzera.
Le politiche di prezzo delineate dai produttori, tuttavia, sono ancora incerte e potenzialmente “pericolose”, perché vanno a definirsi non tanto su un’analisi dei costi e della redditività dei processi, quanto più su un allineamento dei prezzi ai corrispettivi alimenti non-novel come la carne di manzo.
Approfondendo il primo fattore, i costi che le imprese sono chiamate a sostenere sono riconducibili principalmente ai controlli igienici e al volume di investimenti in macchinari innovativi e ad alto tasso tecnologico.
Tutte le stime sul futuro del mondo impongono un cambiamento nello stile di vita della popolazione, comprese le abitudini alimentari. Per il momento, nel nostro paese, l’ostacolo più forte risiede ancora nella componente psicologica profondamente legata alla tradizione.
“Nel 2050 saremo tutti vegani, i più fortunati però potranno mangiare gli insetti.”
Emanuele Ruggeri e Annarita Sacco