I Datacenter e la sfida della sostenibilità ambientale

La necessità da parte di consumatori e imprese di usufruire sempre di più dei servizi online, ma anche la diffusione di nuove tecnologie come il Cloud Computing e l’Intelligenza Artificiale, ha reso necessario l’utilizzo dei così detti Datacenter.
Un Datacenter è un luogo fisico che accoglie, tra le altre cose, un gran numero di server così da rendere possibile l’immagazzinamento, l’elaborazione e la diffusione di dati.
Se i datacenter sono al centro di innumerevoli dibattiti a causa del tema della protezione dei dati personali (la Carta dei diritti fondamentali dell’UE stabilisce che i cittadini comunitari hanno il diritto alla protezione dei propri dati personali), è spesso poco approfondita la questione degli impatti ambientali che i Datacenter possono provocare.
Nonostante essi siano necessari per sostenere lo sviluppo tecnologico della nostra società, impiegano quantità enormi di energia elettrica per alimentare il funzionamento dei server, soprattutto in termini di sistema di raffreddamento, necessario per garantire la corretta operatività e per scongiurare guasti.
Si stima che il consumo annuale di elettricità dei datacenter e di analoghi sistemi di gestione dei dati abbia raggiunto un valore tra i 480 e i 660 Twh in tutto il mondo, circa il 3% del consumo annuale di energia elettrica globale.
La Commissione europea ha stimato, inoltre, che nel 2018 il consumo di energia elettrica dei datacenter presenti in Unione Europea ha rappresentato circa il 2,7% del consumo totale di elettricità nella zona comunitaria, con un trend che è stimato in forte crescita. In questo senso, Cisco Systems  prevede che il numero di workload (il numero di applicazioni o programmi presenti in un server) raddoppierà ogni 4 anni, con forti ripercussioni sui consumi energetici.
Ma l’impatto ambientale non si limita al consumo di energia elettrica, basti pensare al fatto che i datacenter adoperano migliaia di litri di acqua (anche in questo caso come sistema di raffreddamento), oppure si pensi al destino di tonnellate di rifiuti elettronici che vengono prodotti e che spesso non sono oggetto di riciclo.
Le previsioni di crescita del numero e della dimensione dei datacenter e i conseguenti rischi che comporterebbe la crescita incontrollata di una nuova industria energivora ha reso necessario indirizzare lo sviluppo di questa tecnologia entro i limiti della sostenibilità ambientale, in linea coi principi dello Sviluppo Sostenibile.

A livello Europeo, l’UE dal 2008 ha cercato di disciplinare l’efficientamento energetico dei datacenter e, allo stesso tempo, l’impiego di fonti di energia rinnovabili per la loro alimentazione.
Il primo intervento comunitario è stato infatti la promozione nel 2008 di un codice di condotta volontario per la gestione dei datacenter, il “Code of Conduct for Energy Efficiency in Data Centres”.
Il Codice, a cura del Centro comune di ricerca dell’Unione Europea, promuoveva delle best practice per raggiungere standard di efficienza energetica, ed è stato integrato nel 2021 con linee guida sulla gestione di dispositivi esistenti o di nuova installazione.
Tali linee guida spaziano dal procurement, dove si consiglia di utilizzare hardware in grado di disperdere poco calore e di  supportare sistemi di reportistica del consumo energetico, al design dell’infrastruttura, che deve garantire una corretta circolazione dell’aria (per migliorare l’efficienza del raffreddamento).
Tuttavia è solamente nel 2012, con l’adozione della “Energy efficiency directive”, che l’efficienza energetica diviene non solo una best practice, ma un obbligo da rispettare per i datacenter situati all’interno del territorio dell’Unione Europea.
La Direttiva individuava una serie di misure per raggiungere l’obiettivo di efficienza energetica del 20% entro il 2020 (target effettivamente raggiunto), e stabiliva dei limiti per il consumo energetico dei datacenter e introduceva una serie di obblighi per le aziende, tra i quali: la pubblicazione di un report annuale sui consumi di energia e di acqua e la rendicontazione dell’uso fatto del calore in eccesso (che può essere riutilizzato, ad esempio per riscaldare gli uffici del personale).

Altro momento importante è stato l’adozione del Regolamento 2019/424, con il quale si è intervenuto, per la prima volta, a disciplinare i “Servers and data storage product […] typically placed on the market for use in data centres […]”.
In particolare, il Regolamento prevede una serie di obblighi da rispettare in fase di progettazione di questi prodotti, con l’obiettivo di favorire, l’efficientamento energetico (1), la riparabilità dei prodotti in caso di guasto (2), la scalabilità dei sistemi basati su questi prodotti (3) e le attività di circular economy (4). È chiaro l’intento da parte del legislatore di intervenire per la tutela dell’ambiente in modo preventivo.
A ciò si aggiunge:

  1. la revisione, avvenuta nel 2018, della Energy efficiency directive, inserita nel piano generale di rendere l’Unione Europea climate-neutral.
  2. la pubblicazione, da parte del Comitato europeo di normazione elettrotecnica, di Raccomandazioni (CLC/TR 50600-99-1) per favorire l’efficientamento energetico dei datacenter;
  3. La Social Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), adottata nel 2022, che obbliga le aziende che gestiscono datacenter a pubblicare i consumi energetici suddivisi per ogni cliente che usufruisce del proprio servizio.

A livello italiano, la legislazione sulla limitazione dell’impatto ambientale dei datacenter si limita al recepimento della normativa europea, come ad esempio il D.Lgs. n. 73/2020 che ha recepito nell’ordinamento nazionale la direttiva EED sull’efficientamento energetico.

A livello statale, invece, particolare rilievo assume:     

a) negli Stati Uniti, il report del 2022 pubblicato dalla “White House Office of Science and Technology Policy’s” sugli impatti ambientali provocati dal grande consumo di energia elettrica dei datacenter e della pratica del mining di criptovalute, in cuisi individua la necessità di applicare i principi dello sviluppo sostenibile anche nell’industria delle tecnologie digitali. Occorre sottolineare, inoltre, come si stia preparando una proposta di legge che obbligherebbe le aziende a pubblicare annualmente un report sull’impatto ambientale dei propri datacenter;

b) in Australia, l’iniziativa NABERS (National Australian Built Environment Rating System) che, per quanto riguarda i datacenter, mira a promuovere un rating della sostenibilità ambientale delle facility, con il quale da un lato è possibile individuare le aree di miglioramento, dall’altro si intende permettere alle aziende di avere un riconoscimento oggettivo e pubblico dei propri sforzi per la sostenibilità ambientale.

Da un punto di vista delle imprese, molte aziende stanno cercando di limitare l’impatto ambientale dei propri datacenter per allinearsi agli obblighi normativi europei, soprattutto, per la crescente importanza che sta assumendo la Corporate Social Responsability.
In questo senso può essere letto il Climate Neutral Data Centre Pact, l’impegno di 25 delle maggiori aziende che gestiscono datacenter a raggiungere la neutralità climatica entro il 2030 tramite l’applicazione di sei pilastri: l’efficientamento energetico (1), l’uso di energia pulita (2), l’efficientamento dell’uso di acqua (3), l’applicazione della circular economy (4), l’uso di energia in termini circolari (5) e la governance sostenibile (6). Va notato, infine, che alcune grandi aziende hanno cercato di limitare in modo autonomo gli effetti sull’ambiente dei propri datacenter. Microsoft, ad esempio, ha recentemente verificato la fattibilità e la sostenibilità ambientale dei datacenter subacquei, che sfruttano le temperature gelide degli oceani per risparmiare energia elettrica e acqua utilizzate per il raffreddamento.

Alessandro Criscuolo