Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 il mondo è stato stravolto da un nemico invisibile: il “COVID-19”.
La diffusione di questo virus ha causato innumerevoli danni che si sono manifestati in varie forme e che hanno modificato profondamente i modi di vivere, anche gli aspetti più comuni.
La Pandemia, però, non ha causato soltanto un’emergenza sanitaria in quanto le conseguenze negative di questa si sono estese anche in altri settori.
In particolare, il Coronavirus ha ulteriormente aggravato una problematica già esistente: l’uso della plastica. La Pandemia ha provocato, infatti, cambiamenti nella produzione e nel consumo di plastica nonché dei relativi rifiuti, causando un impatto negativo sull’ambiente a livello mondiale.
Si ricordi, infatti, che i materiali plastici possono frammentarsi, ma difficilmente possono essere biodegradati e che molto spesso, gli accumuli situati nelle discariche e sparsi sulla terraferma finiscono nei mari e negli oceani formando le cosiddette Marine Litter (rifiuti marini).
Una Marine Litter è composta principalmente da residui di plastica (fino al 70%), in particolar modo da plastica monouso o SUP (Single Use Plastics) e da attrezzi da pesca.
A livello normativo, si è cercato, attraverso l’adozione di strategie, di dare attuazione a quanto previsto dalle direttive comunitarie così da ridurre e contenere l’utilizzo della plastica considerando proprio le difficoltà connesse al suo smaltimento (Per un approfondimento, si veda http://www.dirittoambientale.eu/2021/11/29/plastic-tax-e-lennesimo-rinvio/ )
Concentrandoci su legame tra Pandemia e produzione e consumo di plastica, è evidente come, la situazione di emergenza sanitaria abbia portato un incremento dell’utilizzo di materiali plastici (basti pensare all’uso obbligatorio delle mascherine, categorizzate tra i SUP e anche all’utilizzo massiccio del packaging per effetto degli acquisti online, aumentati del 40%).
La crisi sanitaria si è presto trasformata anche in una minaccia per gli ambienti naturali.
In un recente studio apparso su Proceedings of the National Academy of Sciences, un team di ricercatori dell’Università di Nanchino in Cina e dell’Università di San Diego, in California, ha stimato circa 8,4 milioni di tonnellate di plastica in più in circolazione legate alla pandemia di Covid-19 e che queste sarebbero divenute 11 milioni entro la fine del 2021.
La stessa indagine ha anche stimato che nello stesso periodo circa 26 mila tonnellate di plastica sarebbero finiti mare e che tale fenomeno avrebbe interessato soprattutto la regione asiatica. Lo studio si basava su quattro tipologie di rifiuti plastici: i rifiuti ospedalieri (87,4%), le mascherine (7,6%), di cui il quantitativo finito nelle acque di fiumi, laghi e negli oceani è superiore al miliardo e mezzo da marzo 2021, il packaging (4,7%), derivante dall’enorme aumento degli acquisti online ed infine i kit dei test (0,3%). La ricerca ha rivelato, inoltre, che il maggior produttore di questi rifiuti è stato il continente asiatico (46% del totale) seguito dall’Europa (24%) e dal Nord e Sud America. (22%).
Ciò che maggiormente preoccupava i ricercatori era la quantità di rifiuti di plastica destinati ad essere ripescati dai mari e dagli oceani entro la fine del 2021 (metterei al passato i verbi visto che ormai siamo nel 2022). Secondo lo studio, inoltre, circa il 71% di questi rifiuti si sarebbe sedimentato sulle spiagge, il 16% sul fondale marino e il 13% nelle acque.
In generale, per gestire l’utilizzo eccessivo di plastica è necessario ricorrere allo sviluppo di materiali più ecologici, ricercare nuove tecnologie per la raccolta e il riciclo e soprattutto operare una corretta gestione dei rifiuti in particolare nei Paesi in via di sviluppo.
In questa direzione la relazione dell’AEA “Plastics, the Circular Economy and Europe′s Environment – A Priority for Action”, adottata il 28 gennaio 2021, che ipotizza tre possibili percorsi futuri: un utilizzo più intelligente della plastica, una maggiore circolarità e il ricorso a materie prime innovabili. Se adottate insieme, queste strategie possono contribuire ad incrementare un uso sistematico della plastica sostenibile e circolare.
Beatrice Russo.