Quali sono le implicazioni dell’invasione della Russia in Ucraina rispetto alla crisi energetica globale e al cambiamento climatico?
Nel contesto attuale, dove gli equilibri politici ed energetici rischiano di essere sconvolti, la questione la questione climatica sembra essere messa in secondo piano, se non addirittura esclusa, secondo Carbon Brief.
Tuttavia, la crisi politica e diplomatica da un lato e quella energetica e climatica dall’altro, sono profondamente interconnesse. Da un punto di vista energetico, infatti, l’Europa è fortemente dipendente dalle esportazioni russe di carbone, petrolio e gas ed è, pertanto, chiamata a trovare una strada alternativa. Di fronte a questa situazione, due sono le visioni che si sono manifestate in queste settimane.
In molti, tra cui la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il Primo ministro britannico Boris Johnson, hanno sottolineato la necessità di accelerare la transizione verso tecnologie energetiche pulite. Altri, pur sostenendo tale visione, hanno proposto nel breve periodo di aumentare le forniture interne di combustibili fossili, così da ridurre la dipendenza dalle importazioni russe.
In tale contesto, il superamento definitivo dei combustibili fossili, condizione ineludibile per contrastare i cambiamenti climatici, potrebbe essere una valida soluzione.
La crisi ucraina, infatti, ha evidenziato come la transizione ecologica giochi un ruolo chiave nella riduzione della dipendenza dai combustibili provenienti dalla Russia. Tuttavia, non tutti i paesi hanno intrapreso le stesse misure per venire a capo della questione.
Perché la Russia è importante per l’approvvigionamento energetico globale?
La Russia svolge un ruolo importante nel sistema energetico globale grazie alle sue enormi risorse di combustibili fossili; basti pensare che è il terzo produttore mondiale di petrolio dopo gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, (12% della produzione globale) e il secondo produttore di gas dopo gli Stati Uniti, (17% della produzione globale). Le forniture energetiche russe sono particolarmente importanti per i Paesi europei. Ad essi confluisce, infatti, quasi il 70% delle esportazioni di gas della Russia e la metà delle sue esportazioni di petrolio. Ciò significa che la Russia è a sua volta dipendente dalla vendita di combustibili fossili, che costituiscono più di due quinti delle entrate del governo. Secondo una stima di Bloomberg, infatti, Regno Unito, UE e USA spendono collettivamente più di 700 milioni di dollari al giorno per comprare petrolio e gas russo.
Qual è l’impatto della guerra sulle materie prime?
Una delle conseguenze più gravi dell’attuale guerra in Ucraina riguarda lo scambio delle materie prime a livello globale, tra cui: le risorse agricole, il legname e i metalli. Si ricordi, infatti, che la Russia e l’Ucraina sono due dei principali produttori di cereali al mondo e che insieme hanno esportato nel 2019 quasi un quarto delle esportazioni mondiali di grano. L’Ucraina, la cui bandiera rappresenta proprio “cieli blu su campi di grano”, è il quarto più grande fornitore di grano e mais al mondo contribuendo per il 12% alle esportazioni di grano e per il 16% alle esportazioni di mais.
Secondo il New York Times, si è registrato un aumento, considerato tra i più alti dal 2011, dei prezzi delle risorse alimentari. Ciò è stato provocato: dall’aumento dei prezzi dell’energia e dei fattori produttivi, dalle interruzioni della catena di approvvigionamento, dal peggioramento della situazione climatica e dalle conseguenze derivanti dal conflitto. In tale contesto, gli Stati del Medio Oriente e del Continente africano sono quelli che potenzialmente potrebbero soffrire di più per il prolungarsi del conflitto in Ucraina. Quasi il 40% delle importazioni di questi Paesi provengono, infatti, dall’Ucraina. Per quanto riguarda le altre materie prime, si ricordi che la Russia è tra i principali produttori di ferro, nichel, palladio, platino e uranio e che, per effetto del conflitto, i costi di approvvigionamento sono finora aumentati di quasi il 15%.
Come sta reagendo l’Italia?
Per quanto riguarda l’Italia, particolare interesse hanno suscitato le parole provenienti dal mondo dell’industria e del privato che hanno sottolineato come la transizione ambientale debba avvenire il più velocemente possibile e come il cambiamento debba partire proprio dalle grandi aziende.
Secondo Giovanni Pirovano, presidente della Banca Mediolanum e componente del Comitato Esecutivo ABI con delega alla Innovazione e Sostenibilità: “Il conflitto in Ucraina ci impone l’obbligo della transizione
come ABI si sia organizzata per supportare associati in questa fase delicata attraverso l’istituzione di gruppi di lavoro ad hoc e la partecipazione ai tavoli di confronto ministeriali previsti in materia. Infine, Pirovano ha ricordato come, in Svizzera, un gruppo di investitori istituzionali abbia spinto una delle principali banche elvetiche a ridurre la propria esposizione sul carbone.
Francesca Mariotti, direttore generale di Confindustria, ha invece evidenziato le difficoltà affrontate dalle grandi aziende, affermando come il conflitto abbia portato ad una maggiore consapevolezza su come alcuni aspetti in campo energetico richiedano tempi e modalità di valutazione su cui bisogna soffermarsi e soluzioni di transizione che meritano qualche riflessione in più”. La stessa Mariotti ha sottolineato come le tensioni sulle bollette si siano acuite e come i costi energetici (rispetto a gennaio 2020 i costi dell’energia sono aumentati del 1.498%) per le imprese siano diventati insostenibili nell’ultimo periodo causando, in alcuni casi, l’interruzione delle attività produttive. Pur sostenendo la transizione ecologica, ha richiamato l’attenzione sul fatto che questa trasformazione non sia foriera di un’autodistruzione imprenditoriale.
Gabriele Bernini